sabato 15 giugno 2013

Pensare qualcosa di meraviglioso. Disney sul grande schermo

di Mariuccia Ciotta

Nell'altro secolo, ogni sette anni Biancaneve e i classici Disney tornavano sul grande schermo in una staffetta generazionale che inanellava la memoria. Tutti bambini del 1937 di fronte alla creatura dei fratelli Grimm che attraversava la foresta di artigli in fuga dal Castello di Grimilde. Ed era sempre la “prima volta”.

Sette anni per rivedere gli “evergreen”, però, sono troppi per i fans di un'altra età e finalmente le videocassette e i dvd hanno interrotto l'attesa. Ma è nel buio della sala che le immagini danzanti di Walt dicono cos'è il cinema visto da mille occhi nello spazio espanso dello schermo, magnifica perciò l'iniziativa di riproporre i titoli dei cartoon disneyani nelle sale cinematografiche, come è accaduto già l'anno scorso con Cenerentola, La carica dei 101 e La Bella e la Bestia.

Il “pacchetto” di giugno 2013 contiene, però, ancora una volta titoli attribuiti al papà di Mickey Mouse senza distinzioni tra il “prima” e il “dopo” in una totale confusione sull'opera di Walt che non è una major ma un innovatore di linguaggi. In programma: Gli aristogatti (1970), Il Libro della giungla (1967), Monsters & Co (2001, in sala fino al 26 giugno) e Peter Pan (1953, 29-30 giugno).

E' vero, come si è detto, che Gli aristogatti (1970) è il primo film “non prodotto” da Walt, scomparso il 15 dicembre 1966, ma i lungometraggi usciti nel dopoguerra segnano tutti una distanza dai “classici” che si concludono nel 1942 con Bambi. Dopo, Walt si dedicherà alle sue nuove ossessioni, l'immagine ibrida, i film con attori, i documentari sulla natura e, prima di tutto, Disneyland, ideata dalla Wed (Walt Elias Disney, 1952), organizzazione separata dallo Studio di Burbank, “rifugio” per lo sperimentatore indipendente. “Il parco significa molto per me – disse - E' qualcosa che non sarà mai finito... E' vivo... Biancaneve non esiste più”. 
Walt non era interessato alla copia di Snow White, ma lo Studio sì, e infatti Cenerentola (1950) riempì di nuovo le casse esangui della major, caduta in crisi durante il secondo conflitto mondiale.
 

Il “Disney touch” si sente ancora fino a Lilli e il Vagabondo ('55) passando per Cenerentola, Alice nel paese delle meraviglie ('51), Peter Pan ('53) e poi sfuma nella Bella addormentata nel bosco ('59) che segna lo spartiacque con l'era Wolfgang Reitherman, regista di una lunga serie di surrogati disneyani: La carica dei 101 ('61), La spada nella roccia ('63), Il libro della giungla ('67), Gli aristogatti ('70), Robin Hood ('73), Le avventure di Bianca e Bernie ('77), Red e Toby ('81). Per ritrovare un po' di “polvere di fata” si dovrà attendere la giovane parata di animatori alle prese con La sirenetta ('89).

Dunque, Gli aristogatti, che ha aperto la programmazione di giugno (1-2) dove “non si avverte l'assenza di Disney” secondo alcuni critici, è la prova di come il cartoon perda vita senza Walt e si riduca a un pasticcio di gag con personaggi rozzi e melensi, i gatti fotocopiati dai 101 dalmati, strimpellatori di pop-jazz, caricature di quegli esseri “disumani” venuti alla luce nelle Silly Symphonies degli anni Trenta. Non c'è più nulla di disneyano, anzi tutto quel che si attribuisce a “zio Walt”, il marchio del “sequestratore di immaginario” detestato da chi ha letto e approvato Ariel Dorfman e Armand Mattelart (Come leggere Paperino. Ideologia e politica nel mondo Disney, '71).


Il rooseveltiano Walt non avrebbe amato “Romeo er mejo der Colosseo” (e nemmeno l'irlandese Thomas O'Malley dell'originale), il gatto macho ricalcato male sul Vagabondo mentre gli sarebbero piaciuti gli squinternati alieni di Monsters & Co, mostri digitali lontanissimi dalle rotondità del Topo eppure dotati di spirito rivoluzionario e di eccentricità umoristica che affiancano il popolo selvaggio di Il libro della giungla.
Tratto dal romanzo di Kipling, il film è ancora sotto l'influenza di Walt tornato per un breve periodo a occuparsi di cartoon. Si è appena goduto il trionfo di Mary Poppins ('64), prototipo a tecnica mista, live più animazione, e Disneyland ha già compiuto dieci anni. 
 
Walt morirà durante la lavorazione, e si vede. Mowgli decolla nella matita di Milt Kahl e Frank Johnson, due dei nine old men, e poi perde quota in un frastornante teatrino scimmiesco. Anche qui il lato dark e la vocazione all'impossibile disneyani non trovano l'Isola che non c'è.
L'indirizzo però ce lo dà “il ragazzo che vola” nell'ultimo titolo, imperdibile, dell'omaggio al grande creatore di mondi. “Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino” dice Peter a Wendy sospesa sulla torre di Londra. Il monello di James M. Barrie non è che Walt. “Nessun attore si era identificato più di me... io volavo davvero” racconta a proposito dello spettacolo teatrale dove, bambino, interpretava un Peter Pan proiettato in mezzo alla folla da un marchingegno ideato dal fratello Roy.

Era un bel ragazzo, vestito di scheletri di foglie e della resina che stilla dagli alberi” scrive Barrie. “E ha 12 anni per sempre perché rifiuta di lasciare quella bella entusiasmante età, ma la cosa più importante è che sa dov'è Neverland e sa come arrivarci” aggiunge Walt.
Il film è forse l'atto finale della sua ricerca di un luogo utopico, il cinema, dove tutto è possibile, e dove “morire sarà un'avventura grandissima”, come si sussurra Peter mentre Capitan Uncino sta per infilzarlo con la spada.
Se nessuno ci crederà più, avverrà l'eclissi, ma il fascio di luce riprenderà a squarciare il buio quando qualcuno “penserà qualcosa di meraviglioso”.

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