mercoledì 23 aprile 2014

Il chiarore del noir. In ricordo di Claudio G. Fava, tra Jean-Pierre Melville e il cinema algerino


Claudio Giorgio Fava
Roberto Silvestri
Ho conosciuto Claudio Giorgio Fava, in televisione, come molti italiani della mia generazione. Per 20 anni e fino all’arrivo di Celli e dei professori, che lo hanno spintonato via da viale Mazzini in malo modo, ha presentato quelle compiante retrospettive di film, in prima e seconda serata Rai (poi improvvisamente proibite nell’era Marzullo), affiancando Fernaldo Di Giammatteo, Pietro Pintus, Callisto Cosulich e Vieri Razzini nei preziosi corsi didattici per principianti delle immagini (non si studiava ancora cinema nei licei e nelle università), equivalenti alle lezioni, ‘non è mai troppo tardi’, di Alberto Manzi.
Jean Paul Belmondo in Le Doulos (1962) di Melville
Come Vieri Razzini, Fava era esperto e fan della Hollywood del periodo classico, ma a differenza di Vieri si appassionava di più a vivisezionare i segreti del cinema d’azione e di guerra, meglio ancora se thriller e gialli ‘hard boiled’, piuttosto che la commedia sofisticata. Ford, Wellman, Vidor, Welles, Hawks, Peckinpah, Siegel, Aldrich, Fuller, Peckinpah (che si pronunciava Peckinpho, come ci fece poi scoprire) erano i suoi registi preferiti… Amori condivisibili, che accomunavano, forse per identica sensibilità “rooseveltiana”, una parte cattolica della sua generazione (che faceva riferimento alla curia e alla Rivista del Cinematografo) alla fazione più cinefila più estrema del Movimento studentesco, allevata a Tronti e Cinema & Film, Rossanda e Filmcritica, Renato Nicolini e Giuseppe Turroni. Anche i più giovani, come Paolo Sorrentino, da Fabio Fazio per festeggiare l’Oscar, se lo ricordava bene a Che tempo che fa: “per me era una specie di idolo perché creava un’aspettativa sul film che si andava a vedere”.
L’ho incontrato spesso, Claudio G. Fava, in occasione di convegni, conferenze stampa e l’ho intervistato molte volte al telefono per Hollywood Party, l’ultima poche settimane fa. Era una presenza fissa, arguta e colta, quando si trattava di rischiarare zone dimenticato del grande cinema di una volta. Ho anche polemizzato con Fava, una volta sola. Tra i suoi difetti non c’era sicuramente il ‘paternalismo terzomondista’. Ma quando si vantava di aver ben nascosto nei cellari Rai, affinché nessuno mai li vedesse, “quegli orrendi film di propaganda algerini, che dobbiamo accollarci solo per colpa di accordi bilaterali tra aziende televisive pubbliche” trovai la battuta snob, gaullista e poco divertente, perché in fondo i classici della rivoluzione firmati da Lakhdar Hamina, Abderramaneh Bouguermouth, Assja Djebar, Azzedine Meddour e Mhamed Bouamari non erano meno interessanti dei tanti film orientalisti, esotisti e colonialisti stravisti (alla Beau Geste o alla Il bandito della Casbah) e, censurati, subivano l’identica sorte di La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo in Francia…
Alain Delon, Le Samourai di Melville (1967)
Però. Non era affatto vero che avesse "una di quelle caratteristiche facce inglesi che viste una volta non si ricordano più", l'aforismo di Oscar Wilde che campeggiava autoironicamente sul suo blog, pieno di recensioni eleganti (sul Mereghetti e sul Morandini, i più recenti), note polemiche, divagazioni su papa Bergoglio (definito con notevole perspicacia: ‘metà peronista, metà borghesiano”), notizie necessarie (segnalava l’importante programma Storie di cinema di Tatti Sanguineti, su Iris tv) e, da genoano ultras, una costante attenzione alla cultura genovese.
Il manifesto del film di Melville
Claudio G. Fava, scomparso improvvisamente nella notte nella sua Genova - dove viveva con la moglie, la pittrice Elena Pongiglione - all'età di 83 anni, aveva piuttosto una magnifica faccia da caratterista, ideale per i “noir”, il suo genere preferito, anche nella versione francese, ‘polar’, di cui Jean-Pierre Melville fu il più affascinante interprete. Al regista di I senza nome e Frank Costello faccia d’angelo, Fava dedicò un magnifico saggio sulla Rivista del cinematografo del 1979, un indimenticabile omaggio in prima serata Rai2 e la retrospettiva completa per France Cinema di Firenze, nel 1994, su invito di Aldo Tassone. La Francia lo ha nominato, anche per questo, 'Officier des Arts et des Lettres'. 
Lino Ventura in Le deuxieme souffle (1966) di Melville
L’americanismo di Melville lo intrigava, e spiegava che consisteva “in un piacere minuto della frammentazione con cui egli articola il discorso dei film, e che fa pensare a certi gialli post-bellici Usa. È chiaro che i riferimenti visivi (come dire, antropologici e di luoghi) sono profondamente francesi, a volte parigini come lo era lo stesso Melville. Il suo amore per l’America è comunque ribadito da una delle sue opere più curiose, e cioè Deux hommes dans Manhattan (in italiano contraddistinto da un titolo come sempre eccessivo: Le iene del quarto potere). Girato a New York, in una città buia e tutta da indovinare, è il massimo momento di devozione a quell’America da lui sempre profondamente sognata come ideale alternativa”. La personale tv di Melville, quasi rivoluzionaria per l’epoca comprendeva Il silenzio del mare (1947); I ragazzi terribili (1950); Bob il giocatore (1956). Li vedemmo per la prima volta.
Claudio G. Fava e Francesca Fellini
Ironico e pungente, come Rui Nogueira, il critico e fondatore portoghese del ‘partito Melville’, Fava, laureato in legge, ha iniziato la carriera al Corriere Mercantile (il quotidiano a cui ha collaborato fino agli ultimi giorni). Giornalista professionista dal 1961, è entrato alla Rai nel 1970, lavorando per la Rete Uno e, in seguito, come capostruttura della Rete Due, programmando film, telefilm e soap (Beautiful). Tra i suoi programmi Cinema di notte (con decine di cicli dedicati a registi, attori, sceneggiatori e generi), Dolly, Set.


Claudio G. Fava
Presidente di varie giurie internazionali e collaboratore di importanti festival, era esperto di doppiaggio e aveva curato personalmente la riedizione di classici, deturpati, proibiti o censurati in parte come Acque del sud, Il grande sonno (di Hawks) e La guerra lampo dei fratelli Marx. Dal 1999 era direttore artistico di “Voci nell’ombra” a Finale Ligure, il primo festival italiano dedicato al doppiaggio cinematografico e televisivo. Si è cimentato come attore in Ladri di saponette di Maurizio Nichetti, in televisione con Ombretta Colli (Una donna tutta sbagliata) e in teatro con Giancarlo Sbragia e Mattia Sbragia, su un testo di Guido Fink dedicato a Orson Welles. Come presentatore e ospite ha preso parte a 5 programmi scritti per Raitre da Gloria De Antoni e Oreste De Fornari (Perdenti, Infedeli, La principessa sul pisello, Pacem in terris e La fonte meravigliosa).

Star televisiva con Gloria de Antoni e Oreste de Fornari
È stato insieme a Rita Forte conduttore su TMC di 78 puntate della striscia preserale quotidiana “Forte Fortissima!” di Cristina Crocetti. Dal 2006 è autore di un blog, in collaborazione con Lorenzo Doretti, dal nome "Clandestino in Galleria". Negli ultimi anni saltuariamente collabora con la televisione privata ligure Primocanale.
Jean Pierre Melville
Ha raccolto le sue recensioni e scritti in alcuni volumi (l’ultimo è Visto con il monocolo), è stato autore di monografie dedicate ai pilastri del nostri cinema (Sordi, Fellini, Tognazzi) e di testi letterari, come Tagliati al vivo (il tiolo si riferisce al ‘selvaggio’ taglio delle fotografie, in uso nei quotidiani e nei periodici). Il 31 marzo scorso ultima apparizione in pubblico per presentare il centesimo numero della rivista dei critici cinematografici liguri Film Doc.
Jean Pierre Melville

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