domenica 28 dicembre 2014

Adieu au langage. Cut up alla mescalina. Perché questo Godard è uno dei 10 migliori film dell'anno



di Roberto Silvestri 

Volete provare sensazioni inabituali? Tipo una istallazione di Bill Viola o un viaggio con la mescalina, che ci purificano dalle immagini guaste, marce o usurate, ma stando comodamente seduti in una sala cinematografica?  Ecco il film che fa per voi.  

Bello come una gita al luna park nei primi anni del 900, Addio al linguaggio, “investigazione letteraria” di Jean-Luc Godard è uscito addirittura - ed è l'unica mezza rivoluzione dell'era Renzi, finora - nelle sale italiane dopo l’applaudita “prima” di Cannes. E’ in 3d, l'opera, come Hercules. Ma utilizza lo smatphone oltre alle solite cineprese digitali (Canon, Go-Pro) e mette al bando la dinamica narrativa.

Si dipinge "non quel che si vede, perché io non vedo niente, ma quel che non si vede", diceva un celebre pittore imprssionista di nome Monet. Ma, naturalmente nei nostri schermi non è uscito in 3d, quasi ovunque.E il 3d è un gioiello perfetto per veder dentro il nulla.

Espulsi dallo schermo suspense e personaggi stereotipati - insomma il linguaggio con cui la televisione ipnotizza (si cita spesso Vladimir Kozmic Zworkin, il russo che la “inventò” nel 1923) - l’intento è liberarci dalla grammatica e dalla sintassi che imprigionano le immagini. 

Il visuale televisivo imprigiona, per esempio, gli ospiti dei talk-show a mezzo busto. In modo che siano tutti uguali, figure cangianti di una stessa gerarchia di potere autorizzata. Ed ecco che Godard per dire ateisticamente 'addio al linguaggio', o per esclamare un po' più rispettoso "oh dio, il linguaggio!", per scindere la realtà dalla lingua, “taglia le teste e il collo" - novello sanculotto dell'immaginario, o guerrigliero anti Isais - ai suoi corpi: una donna sposata (che si chiama Ivich, Josette e Mary) e il suo amante provvisorio (Marcus, Gedeon e Davidson). Parlano, litigano, fanno l'amore o si fanno del male, ma non “dialogano” in vista di un’azione. Le azioni si prestano ad essere simultaneamente più di una. 

La ribellione è spazio-temporale, come in Interstellar o su Facebook o in La Jetéè di Chris Marker.

E, mentre rispetta il collo, la testa e figura intera solo del loro cane, di nome Roxy Miéville, un nome per nulla casuale (“l'unico essere vivente che ama gli altri più di se stesso”), Godard insegue, sfoca, distorce, capovolge, inquadra obliquo e incastra i torsi umani, i pezzi di corpi, nudi per lo più, mostruosizza i piedi, in spazi (interno giorno, esterno notte e viceversa) dai mille piani. 

Il 3D permette un infinito gioco ottico: dalla prospettiva rinascimentale che penetra nella profondità dello schermo fuoriesce un cono visivo che, esternamente, arriva fino al nostro occhio, come ci ha insegnato a fare l'arte del XX secolo. Così Godard va dallo “zero all'infinito”, dal “sesso alla morte”. 

Giocando con altri compagni di avventura. Il film è infatti fatto non su, ma con: Hannah Arendt, Jacques Ellul, il mondo, la natura, i libri, delle donne e degli uomini, la solitudine, il totalitarismo, l'amor proprio, il romanticismo, la cacca, la musica, i bambini, il lago Léman, il pensatore di Rodin, Frankenstein, Byron, Shelley e Mary Shelley...

Umoristicamente, eroticamente Godard inserisce in questo gioco barocco, di interni ed esterni mobili, la proliferazioni dei piani, inclinati o meno, suggerito dagli oggetti (abat-jour, spigolo del tavolo, vaso da fiori, sedie, etc) imbastiti e cuciti con scritte (“Natura”, “Metafora” “3D”, “malheur historique”...), spezzoni di film in tv, di tavole d'arte (Cranach...), rumori e suoni a volumi cangianti, voce off, colori lisergici e solarizzati digitalmente. Memore della lezione di cubisti, dadaisti (Duchamp è citatissimo) e Hitchcock che in Delitto perfetto (girato in 3d) offriva una “analitica dello spazio profondo” capace di concedere libertà di movimento, dinamico e autonomo, allo spettatore, costretto in un film normale a entrare con il corpo nel “tempo altrui” del regista. Un collage a ritmo di rap, ritagliato con il metodo del cut-up.

L'esperienza Godard è una boccata d'aria fresca rispetto all'umiliante esposizione continua al visivo sterilizzato, che impone parole d'ordine, palesemente ripetute o pericolosamente subliminali: questo è bello, buono, permesso, tabù… Godard fa giocare invece lo sguardo libero con immagini polivalenti. E mette in gioco i nostril occhi: per vedere bene è meglio ora chiuderne ora l’uno ora l’altro. Il 3d diventa strumento analitico e di combattimento. 

da sinistra Alain Sarde, produttore e gli attori Amel Abdeli, Richard Chevallier, Héloïse Godet, Christian Gregori, Jessica Erickson, Zoé Bruneau
Perché “non si deve più descrivere la vita della gente ma la vita tutta sola, quella che è tra la gente e gli oggetti. Lo spazio, il suono, la foresta dietro la finestra, i colori, la scrittura....”. 

Comunque sarà bene lasciare la parola a Godard, perché così il cineasta parla dei suo film, così lo racconta, anche se di quel che dice un regista sul proprio film deve essere sempre fuorviante, falso, ingannevole, e non fa che complicare le cose. Come al lun a Park. Senza inganno nessuno entrerebbe nella tenda a vedere le mostruose meraviglie dell'umanità....

 

"Le propos est simple. Une femme mariée et un homme libre se rencontrent. Ils s’aiment, se disputent, les coups pleuvent. Un chien erre entre ville et campagne. Les saisons passent. L’homme et la femme se retrouvent. Le chien se trouve entre eux. L’autre est dans l’un. L’un est dans l’autre. Et ce sont les trois personnes. L’ancien mari fait tout exploser. Un deuxième film commence. Le même que le premier. Et pourtant pas. De l’espèce humaine on passe à la métaphore. Ca finira par des aboiements. Et des cris de bébé" (Jean Luc Godard)


La produzione è franco-svizzera.  Il formato 1.78:1. Josette è Héloise Godet, Gedeon è Kamel Abdeli, Marcus è Richard Chevalier, Ivitch è Zoe Bruneau, Davidson è Christian Gregori e Mary Shelley è Jessica Erikson. Il direttore della fotografia è Fabrice Aragno. Il narratore è Jean Luc Godard. Il film ha vinto a Cannes 2014 il premio della giuria assieme a Mommy di Xavier Dolan. I produttori sono Alain Sarde, Vincent Maraval e Brahim Chioua (che ha prodotto anche i film di Kechiche).




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