lunedì 5 gennaio 2015

American Sniper, la guerra nel mirino di Clint Eastwood


Shoot! Clint Eastwood

Mariuccia Ciotta


L'occhio inquadra l'obiettivo, sceglie distanza, posizione e luce giusta... shoot. Solo che Chris Kyle non è un regista. E' un cecchino, il migliore. Dietro l'obiettivo, Clint Eastwood sovrappone l'effetto del ciak, la danza fantasmatica del cinema, con l'”action” che dà la morte. Si inserisce là dove sfuma l'assoluta certezza del texano, tiratore scelto del corpo speciale dei Seals, e lo demolisce dentro. Lo sgretolamento del giustiziere - sceriffo, ispettore, tenente - da parte di se stesso è il leit motiv del cineasta dai tempi di Dirty Harry che ritorna, sempre più declamato, in Le bandiere dei nostri padri, Lettere da Iwo Jima, Gran Torino, quando l'ex marine cinico e disilluso confessa l'assassinio di un soldato inerme, nemico in terra di Corea, senza che nessun superiore glielo avesse ordinato. Dall'allora quel ragazzo ritorna notte dopo notte a tormentarlo... e finisce nel corpo minuto di un bambino iracheno in American Sniper.
Bradley Cooper in American Sniper
Il film ha un primo impatto devastante, non si può volgere lo sguardo, siamo tutti Chris Kyle sul tetto di un edificio a Sadr City, costretti a decidere all'istante se premere il grilletto sul piccolo, carico di un ordigno esplosivo, o mandare all'inferno un'intera squadra di marines. Questa è la guerra, questo è il “my job” contro i terroristi delle Twin Towers, la valorosa spedizione per salvare dai “selvaggi” i compagni.
Il vero protagonista, autore dell'autobiografia best-seller da cui è tratto il film, non si è chiesto se la coppia Bush/Blair mentiva sulle armi di distruzione di massa. E’ andato a combattere per il “paese più bello del mondo” e ne ha fatti fuori 160 o forse 255 tra Falluja e Ramadi, tanti da meritarsi il titolo di Leggenda. Patriota, texano, macho, quasi identico all'attore che l'interpreta, Bradley Cooper, ma delicato nell'animo, voglioso di casa e d'amore, una moglie adorante e trepidante, due figli, trascurati per un ideale più alto, il bene collettivo. Lui è un “cane da pastore”, difende il gregge, né un lupo né un agnello, come gli ha insegnato un padre roccioso, fucile imbracciato e colpo in canna per stendere un cervo regale, alter ego dell'elefante di Cacciatore bianco, cuore nero.
Bradley Cooper
Eastwood taglia le immagini con lame affilate, scarta la dimensione emotiva, si cita nelle scene grottesche di addestramento, non cede al romanticismo. Di eroi non c'è traccia. Chris Kyle è un uomo privato dalla facoltà umana di scegliere - così è la guerra - e il film ne mostra le conseguenze. Per la seconda volta un bambino-soldato gli passa nel mirino, “non prendere il fucile, non prenderlo!” implora il cecchino. Soltanto il cinema può accontentarlo, e va in dolce dissolvenza.
American Sniper è una radiografia radicale dello sport ammazza-uomini - attualmente preferito alla via diplomatica - che il regista accosta con gusto beffardo alla disciplina del tiro a segno: il rivale di Kyle è un sensuale, bellissimo siriano in trasferta, ex campione olimpionico. Al disinnescatore di mine, quindi dalla parte dei vivi, di The Hurt Locker, film Oscar di Kathryn Bigelow, Clint preferisce il killer nascosto tra le fenditure dei muri, essenza estrema della morte in agguato, lo stesso personaggio che in Gli spietati colpiva dall'alto di una roccia un cow-boy ferito e invocante un sorso d'acqua. L'angoscia gelida dell'uccidere, la malattia mentale che penetra nella parte nascosta dai muscoli d'acciaio, il disfacimento dell'umano, tutto sintetizzato nell’immagine ossessiva degli occhiali scuri che Kyle non abbandona mai, marca Wiley X, product placement del classicismo tragico di Nick mano fredda e dello “spietato senza occhi” interpretato da Morgan Woodward.
Chris Kyle, il cecchino
Il cecchino impegnato nella “missione per conto di dio”, e in particolare nell’eliminazione di uno djadista di tarantiniana efficacia, “il macellaio” (che sembra uscito da Driller Killer di Abel Ferrara) sentirà smuovere dentro di sé qualcosa che assomiglia alle deformità psico-fisiche dei reduci, di cui, tornato dopo quattro “turni” dall'Iraq, si prenderà cura, anche lui catatonico, immerso in un delirio di visioni e rimbombi, assente dal giardino fiorito del Texas dove frigge il barbecue familiare.
Fine di ogni pulsione vitale, nemmeno la lotta contro il “male” darà più la carica al “Diavolo di Ramadi” che voleva fare il cow-boy da rodeo, e che vaga ancora nella nebbia dei campi di battaglia. Una coltre di polvere offusca lo schermo, rinuncia all'atto di vedere, messa fuori fuoco definitiva. E come nella tragedia greca non c'è risposta, non c'è soluzione, tutto resta in sospeso, se non l'idea che ognuno è responsabile delle proprie azioni, tema caro a Eastwood l'individualista. 
 

American Sniper lascia inquietudine, scandalo e disorientamento per questo suo innocente assassino, il “narratore” disturbante che non concede vie d'uscita. Chris Kyle aveva scelto di combattere la morte con la morte, e finirà ucciso, a coronamento simbolico, proprio in un poligono di tiro da uno come lui, un reduce affetto da disturbo post-traumatico.
Eastwood lo accompagna nella processione funebre, lungo l'interstate 35, tra Midlothian, la cittadina di Kyle, e il cimitero militare di Austin, lungo 250 km di folla assiepata e silenziosa, un'immagine desolante che ricorda le bandierine meste sventolate al ritorno degli eroi fasulli dell'invasione di Grenada in Gunny.
Clint Eastwood cita la scena finale di Gran Torino


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