sabato 28 marzo 2015

La Cina è vicina alla steppa. "L'ultimo lupo" di Jean-Jacques Annaud


Mariuccia Ciotta



Il Canada dell'Orso e il Kondike di Jack London sulle tracce di Zanna bianca si trasferiscono nella steppa mongola dove il francese Jean-Jacques Annaud, frequentatore di montagne e deserti, trova L'ultimo lupo, il bad woolf , mitico animale impossibile da addomesticare, simbolo del “selvaggio” come il popolo nomade di pastori che vive tra vento furioso, terra brulla e un cielo disegnato di nuvole premonitrici.

Colossale viaggio dentro l'iconografia dei Tartari, impresa titanica, produzione cinese, il film non racconta la tenera amicizia tra “lupetto”, il piccolo salvato dalla morte, e Chen Zen (Shaofeng Feng) lo studente di Pechino spedito nella Mongolia interna durante la rivoluzione culturale del 1967 per “educare” i pastori e studiare le loro condizioni di vita. Né “animalista” né favoletta antropomorfa, L'ultimo lupo è un grande cantico sulla resistenza all'autodistruzione umana più che sull'estinzione della specie dei canidi dalle lunghe zampe, gli occhi fosforescenti e il pelo folto che fa gola ai trafficanti di pellicce. Il destino è comune, la terra condivisa, il paradiso lo stesso, là dove finiranno i cuccioli stanati da buche profonde e lanciati nell'aria in un gesto rituale, ma solo quando l'equilibrio tra predatori e vittime sarà infranto.

Piani ravvicinati dei musi espressivi - i lupi, allevati al mestiere di attore in tre anni di pre-produzione, si prestano al gioco - e sequenze notturne mozzafiato con una mandria di cavalli al galoppo affiancati dal branco affamato che li porterà strategicamente a finire in un lago di ghiaccio dove formeranno un arabesco di criniere cristalline, gelide statue stagliate nel nulla.
Jean-Jacques Annaud e il suo attore Cloudy


Annaud gira in 3D il film commissionato dalle autorità cinesi che gli hanno affidato un testo prezioso, Il totem del lupo (2004), bestseller mondiale, frutto dell'esperienza diretta dello scrittore Jiang Rong, che passò più di dieci anni in missione per conto di Mao in Mongolia, e il cui vero nome è Lu Jiamin, allora giovane guardia rossa ribelle (poi arrestato in piazza Tienanmen), allergico ai diktat del partito, rappresentato nel film dallo stolto capo dell'autorità di Pechino mandato a sorvegliare studenti e pastori.

E' la Cina dell'industrializzazione travolgente, dell'aria tossica e della devastazione ambientale la protagonista in controluce, ma anche quella consapevole e sofferente di Chen Zhen, il ragazzo venuto dalla città, innamorato della terra primordiale e del saggio capo tribù, che sa bene come trattare i coinquilini lupi. Libro e film, fuori dall'esotismo, mettono in campo la questione di un patrimonio da salvare in contrasto con l'avanzare della modernità, i contadini dell'est mongolo che bonificano la terra e conquistano spazi a nomadi e lupi, nemici assoluti da sterminare. Saranno inseguiti con le jeep, presi a fucilate e sfiniti in una fuga interminabile, come succede al leader del branco, Cloudy, davanti al quale perfino il capetto cinese in divisa cede alla commozione.


Il problema non è “rispettare la natura”, ma difendersi dal suo tracollo indotto, impedire che il furto delle carcasse di gazzelle, deposte nel “frigorifero” segreto dei lupi, il lago ghiacciato, sia saccheggiato completamente e scateni l'aggressione su pecore, cavalli e uomini. In cambio della soffiata fatale, il mongolo traditore otterrà una radio a transistor. La metafora si allunga sulla Cina futura che spiana villaggi, abbatte quartieri, edifica grattacieli e collassa nello smog venefico. L'inversione di tendenza degli ultimi anni - compreso il trattamento riservato agli ormai migranti mongoli dell'ovest - è all'origine di L'ultimo lupo e dello sdoganamento del libro di Lu Jiamin, concentrato sulla relazione mai pacificata tra Chen Zen e il suo “lupetto”, allevato di nascosto, nutrito con la razione di carne dello studente maoista, difeso dalla furia del villaggio dopo il morso letale a un bambino, salvato in extremis dal frutto del progresso, la penicillina.

Il regista di L'amante (censurato in Cina), Il nome della rosa, Sette anni in Tibet ha realizzato per conto di Pechino una seconda edizione rivista del libretto rosso, che, dicono le cronache, è l'unico scritto più letto di Il totem del lupo. 
Shaofeng Feng e "lupetto"
 










Nessun commento:

Posta un commento