sabato 5 settembre 2015

Equals e The Danish Girl, corpi cangianti


Mariuccia Ciotta

Venezia



Alexander Sokurov si è giocato il Leone d'oro visto che vuole l'Europa “pulita” e protetta dalla “furia iconoclasta”, i richiedenti asilo fermati sull'altra sponda perché è “pericoloso mischiare le culture”. Alfonso Cuàron, messicano, presidente della giuria, che ha dichiarato esattamente il contrario, gli darà il foglio di via, o anche lui è rimasto affascinato dal puzzle Francofonia “in difesa dei valori” conservati al Louvre?

Un futuro senza emozioni è il leitv motiv del cinema di fantascienza, e non da ieri, come se il robot avesse già freddamente sostituito l'uomo, tutti Equals (concorso), tutti uguali come immagina il 38enne di Orange County (la concentrazione di ricchi più ricchi d'America) Drake Doremus, vivaio Sundance, forse pensando a L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel, o forse a un titolo più recente, Gattaca ('97) che lanciò (in sordina) il magnifico Andrew Niccol, e che qui ritorna negli scenari bianchi, i tunnel, i posti di blocco elettronico, le pareti trasparenti e semoventi, lo stile rarefatto (set Tokyo e Singapore) animato da ombre e da riflessi, i dettagli amplificati di corpi evanescenti, anestetizzati, indifferenti.

L'assenza di emozioni genera la pace? Il mondo di Equals è reduce dall'apocalisse atomica e crede che privare uomini e donne di vibrazioni interiori assicuri l'equilibrio. Qualche centinaio di anni prima, adesso, si può dire il contrario. Solo chi è “disumano” può scatenare la guerra, e starsene immobile come Nia (Kristen Stewart) e Silas (Nicholas Hoult) nel vedere i cadaveri in tuta candida distesi sull'erba, morti a causa del virus Sos, la “malattia” che neutralizza gli inibitori di sentimenti, e fa scattare la “pulizia etnica”. Chi si commuove va a finire nel Covo, e si “suicida”.

Doremus non sembra interessato né all'azione né al décor né all'arredamento minimalista, grandi schermi opalescenti e penne digitali, tutto già archiviato nella memoria del cinema, il suo è come un balletto di automi che recitano Romeo e Giulietta, una vivisezione del primo spuntar di una lacrima e dall'agitarsi delle dita, genesi dell'amore, o meglio della vita che non c'è al di là della relazione con l'altro. Ed è un assurdo che i due siano “creativi”, lei scrive storie spaziali, lui le disegna, ma sotto la tuta arde la fiamma, entrambi assaliti dalla voglia di sfiorarsi, e Kristen Stewart, la Bella Swan di Twilight ne sa qualcosa. L'occhio desiderante di una donna rivolto a un corpo che si nega, vampiro, mutante, insensibile...

Certo, se un fotogramma di Mystic River non vale tutto Black Mass, si può dire lo stesso per Equals paragonato a Gattaca, ma c'è lo scarto e il deragliamento, qualcosa che trasforma l'algida fotocopia in poesia, basta spostare prospettiva e riflettori e cambiare l'ordine delle cose, soprattutto nell'onda elettronica dei compositori Sascha Ring (Apparat, tedesco) e Dustin O'Halloran (Devics band, Usa).


“E' imbarazzante per un uomo essere guardato da una donna”, nel caso di The Danish Girl (concorso) si tratta di una pittrice (Sokurov non riesce a pronunciare la parola pittrice e nel suo film dice: ho visto una donna che dipinge, al Louvre!), Gerda Wegener (Alicia Vikander, Ex Machina) che fa il ritratto a un nervoso gentiluomo baffuto degli anni Venti. Il film è uno dei titoli più “attesi” sperando nello scandalo trans, ma Tom Hooper non a caso ha vinto 4 Oscar per Il discorso del re, e sa centellinare espressioni e turbamenti nel raccontare la vera storia del paesaggista danese Einar Wegener (Eddie Redmayne, Oscar per La teoria del tutto), che si sottopose alla pionieristica operazione (in realtà furono 5) del cambio di sesso.

Il regista inglese indugia sulla sensualità della seta, sui merletti, i voile, le calze velate, abiti come piume che farebbero desiderare a chiunque di indossarli, come accadeva a Ed Wood, il regista di Glen or Glenda, con i suoi maglioncini di angora. Einar, però, non amerà stare in bilico tra il sé uomo e il sé donna, vorrà essere Lili per sempre dopo i sei anni di matrimonio con l'amabile tipetto biondo Gerda, sua moglie, che avrà finalmente successo con i ritratti erotici del marito truccato.

Splendida Copenhagen nel profilo della città che si specchia nell'acqua, azzurro sopra e sotto, e il fruscio delle stoffe e dei pennelli, la grazia di Gerda e di Einar che per la prima volta se ne va travestito per gioco ai vernissage. Anche Hooper dipinge lo schermo, tonalità calde, avvolgenti, e inquadra il balletto delle mani di Einar, che sarà sottoposto a cure violente, considerato schizofrenico, pazzo. Pittura e teatro, performance dei due protagonisti ai quali di aggiunge, nella parte di un'amica ballerina, la bella bisex (nella realtà) Amber Heard, neo moglie di Johnny Depp. Il dramma è pieno di sorrisi e di comprensione, Gerda, dopo un primo schock, accudirà il marito fino all'operazione finale e lui/lei dall'andamento di cicogna, una iperdonna dai rossori improvvisi. Einar tirerà fuori la Lili che è in lui a costo di diventare spuma nel mare di Copenhagen. Quasi una favola di Hans Christian Andersen.




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