sabato 23 gennaio 2016

Ti guardo Venezuela e non mi piaci proprio. Hai un brutto passato da nascondere. Il film di Lorenzo Vigas Desde allò, Ti guardo






Roberto Silvestri 

"Tenete d'occhio Luis Silva, è un talento naturale, senza studi alle spalle. Ma diventerà un grande attore internazionale"... Ce lo assicura il cineasta di Mérida Lorenzo Vigas quando a Hollywood Party ha presentato giorni fa il suo primo lungometraggio. Desde allà, letteralmente, vuol dire "da lontano", traducendo dal catalano. Ti guardo, è invece il titolo molto più carnoso scelto dai distributori italiani per questo dramma venezuelano dal tono di tragedia greca (la coproduzione è con Messico e Cile) scritto (con Guillermo Arriaga, il messicano che lanciò Inarritu) e diretto da Vigas, che è un ex biologo regalato per sempre al cinema. E' ancora nelle sale, dunque non lasciatevelo scappare.  
Leone d'oro alla Mostra di Venezia 2015, premio per la sceneggiatura e per il migliore attore protagonista a Salonicco, Ti guardo ha confermato l'intuizione profetica (pre-festival) del direttore di Venezia Alberto Barbera. Siamo nell'epoca dominata dal pokerissimo di assi Alejando Gutierrez Inarritu-Lisandro Alonso-Antonio Cuaron-Gullermo Del Toro-Pablo Larrain, e dunque è l'America Latina ispanica la terra di riferimento principale del cinema inventivo, d'arte e commercio, d'oggi. 
Si congela l'intensità sciamanica e poetica di Jodorowski, si mette in epoché Raul Ruiz, cioè si mettono tra parentesi le sue metafore barocche, si aggiunge una goccia di Franco Rubartelli, uno dei nomi di punta della breve storia cinematografica (e pubblicitaria) del Venezuela che proprio sul culto dei corpi e sul minimalismo di fraseggio ha fatto carriera (ricordate Veruskha inteso come film?)  e si raffreddano i sentimenti perché facciano ancora più effetto emozionale.... e avremo il tipico film sudamericano di oggi. Politico obliquamente,  erotico trasversalmente, narrativo distrattamente, formalista involontariamente, ma intenzionalmente.    
Alfredo Castro (a destra) e Luis Silva
Ti guardo è un film per soli uomini, monoerotico, soprattutto autoerotico, e un po' misogino, ma ha preso in contropiede il consumatore medio festivaliero (è stato uno dei pochi Leone d'oro accolti con scetticismo generale. Senza Cuaron presidente della giuria non avrebbe mai vinto, si è detto). Eppure è un film che ha un pedigree illustre. Perché il narratore è un po', per esprimerci grossolanamente, erede palese della sobiertà e asciuttezza di Pablo Larrain, il più secco e glaciale radiografo del Cile di Pinochet (dalle origini basche). Anche se l'operatore e direttore della fotografia di questo film, e di tutti quelli di Larrain, Sergio Armstrong, ha certamente ristudiato se stesso in Tony Manero, per dare quanta più disumanità grigiastra possibile, ombre inquiete e decolorazione gelida alla metropoli tentacolare e sotto incubo. Il protagonistia, poi, l'attore feticcio di Larrain delocalizzato nella Caracas di oggi, possiede quella microscopita capacità di cambiare espressione senza muovere un muscolo che lo rende venezuelano medio di oggi, schiacciato tra i fan sguaiati e un po' sanculotti (era ora) del presidente Maduro da una parte e un parlamento di destra feroce dall'altra. Circospetto aspetta la fine..... File dal panettiere. Crisi economica. Il petrolio che sta ai minimi per punire i chaveziani, Maduro sembra che regga ma il popolo no, soffre, si arrangia, ruba quel che può. Perfino specchietti retrovisori. Intanto i ricchi ridono. Ovvio che il film osserva altro. Supera la storia. supera la cronaca,  supera la società e si piazza dentro i corpi, dentro la psiche. Fa psicopatologia di massa del fascismo. Che, come si sa dall'epoca di Wilhelm Reich, compie disastri anche quando la tensione è più socialisteggiante che nazionalista e guerrafondiaia, vedi la Urss di Stalin, dal 1930 in poi....

Luis Silva e Alfredo Castro (a destra)

Armando (l'attore cileno Alfredo Castro, che ha lavorato anche con Daniele Ciprì), odontotecnico benestante, molestato pesantemente dal padre da piccolo, immaginiamo traumaticamente e ripetutamente, visto che a un tratto commenta: “lo odio lo vorrei morto”, vive solo e non si è mai sposato. Adesca giovinetti per denudarli e mastrurbarsi, ma senza mai avere contatti sessuali men che mentali. Una sorta di critica pacifista al padre? Di messa in scena tragico sarcastica del fatto traumatico infantile? Finché non trova un ragazzo violento, un macho affascinante che più lo deruba e lo ferisce, più lo tenta. Elder (Luis Silva), capo teppa, inizia a frequentarlo sempre più spesso, dapprima per interesse, poi per curiosità, poi per .... Lascia la sua ragazza mulatta, si fa pessima fama nel suo ambiente maschilista, che lo scarica, viene perfino cacciato di casa dalla madre che ha saputo da un pettegolezzo che quell'opportunistica relazione (a Elder servono i soldi per trasformare un ferrovecchio in automobile) si è trasformato in amicizia a tutto tondo, poi in amore, vero e folle, addirittura carnale, era ora. Ma fino a conseguenze devastanti. Armando scoprirà che quel che insegue in Elder, nelle sue zone dark e inconfessabili, è proprio la crudeltà criminale del padre. A questo punto rifiuta la sua soggettività desiderante. Torna nell'incubo. Un happy end che non è happy per nulla. Atroce.
Luis Silva 

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