mercoledì 6 luglio 2016

Eli Wallach, il cardinale di Hollywood, a due anni dalla morte

di Roberto Silvestri


E' morto a 98 anni il cattivo piu' affasciante del cinema moderno. Ma forse neppure il ruolo di villain perfetto lo caratterizza. Era molto di piu'. Infatti.
C'e' il buono, c'e' il cattivo e c'era Eli Wallach. L'attore
nordamericano, morto ieri a 98 anni nella sua casa di Manhattan,
dopo oltre 70 anni di intensa carriera teatrale, cinematografica e
televisiva - che molto deve anche alla formidabile scena italiana
degli anni 60 e 70 - possedeva infatti un dono speciale, davvero
originale, ingigantito, sul grande schermo, da una sublime tecnica
microgestuale.
E non era certo la “bruttezza” a definirne il tipo, per
quanto interiore, come nel classico di Sergio Leone. Se ne resero
conto tanti registi di qualita', che lo veneravano, da John Huston a
Richard Brooks, da Don Siegel a William Wyler, da Skolimowski a
Polanski, fino a Clint Eastwood che lo ha voluto di nuovo complice,
come ai vecchi tempi del western spaghetti, in Mystic River.
Wallach rendeva complessi, sconcertanti e pieni di sfumature destabilizzanti
personaggi di insuperabile immoralita' e disumanita'. Per quanto
fosse mafioso, bandito, ladro, assassino, pedofilo, trafficante di
droga, e perfino “The Freeze”, uno degli acerrimi nemici di un
Batman del 1966, il mega-caratterista Wallach era un professionista
del crimine 'charmant', non solo vivo, reale e umano, ma seducente,
e in maniera scandalosa. Certo, il Metodo aiutava. Da allievo di
Stanislavsky e Lee Strasberg sapeva come rappresentare,
esteriormente, i traumi piu' nascosti, i piaceri colpevoli eimisteri
dell'inconscio. A John Sturges strappo' il permesso di indossare una
sciarpa di seta, di cavalcare un bel destriero e di sbandierare due
denti d'oro per caratterizzare, indelebilmente, il suo bandito Calvera.
Mai uno stereotipo o una caricatura venivano scarabocchiati da
quegli occhi intensi e penetranti, radianti ambiguita', astuzia,
sarcasmo, sadismo e giocondita' infantile, istintiva e pre-morale...
Per questo c'era anche piu' gusto nell'annientarlo. E non era facile. 
“Eli era una combinazione adorabile di furia e scaltrezza”, come ha
scritto il critico e storico del cinema statunitense Richard Schickel.
In un western-spaghetti cercarono invano di impiccarlo ben 4
volte...Bisognava inventare altre generazioni di 'buoni' per abbattere
le sue creature maligne, di nuova concezione - non piu' come i cattivi
maneggevoli della tradizione classica di una volta, da Fernando
Sancho a Jack Palance, da Richard Boone a Henry Silva - ricorrendo
magari a Clint Eastwood, il giustiziere spettrale venuto dall'oltre
spazio. E per tutte queste qualita' L'Academy nel 2010 conferi' un
Oscar onorario a Eli Wallach. Anche perche' quello vero e proprio lui
l'aveva buttato via nel 1953, quando preferito da Fred Zinneman a
Frank Sinatra per il ruolo di Maggio in Da qui all'eternita', disse:
“no, grazie” e invece sali' sul palcoscenico, senza peraltro mai
pentirsene, per un allestimento di “Camino real” diretto da Elia
Kazan.
Presenza fissa della tv americana, tra tv movies, show e serie (in Our Family Honor interpretava un boss mafioso), vinse un Tony
per The Poppy Is Always a Flower, fu adorato soprattutto sulla
scena di Broadway, che lo premio' nel 1951 con un Tony Award per La rosa tatuata di Tennessee Williams, e di off-Broadway, dove
trionfo' nel 1946 con This property is condamned dello stesso
drammaturgo gay e decadente, Williams, con al fianco una giovane
attrice irlandese dai capelli rossi di nome Anne Jackson, che divenne
sua moglie dal 1948 in poi. Un coppia fedele anche sulla scena,
particolarmente affiatata nell'allestimento dei classici di Ionesco (Il
rinoceronte
), Murray Schisgal, come Luv o The Typist and The
Tiger,
Jean Anouilh (era il generale francese di Waltz of Toreadors) e
del teatro yiddish (Cafe' Crown di Hy Kraft). A teatro prediligeva
ruoli di piccoli uomini qualunque, irritati e incompresi.
Ma sono i ruoli cinematografici, piu' incisi e fiammeggianti, che lo
hanno reso celebre nel mondo. E anche pericoloso per la censura. In
particolare quando Elia Kazan, fresco di delazione contro i comunisti, e dunque intoccabile, irrito' tutti i reazionari d'America, la
chiesa cattolica e anche il critico del New York Times Bosley
Crowthers, realizzando, da un dramma ad alta suggestione carnale di
Tennessee Williams, “il piu' controverso film degli anni 50”, o come
lo defini' Time Magazine “il film piu' sporcaccione e moralmente
repellente mai distribuito nel normale circuito di sale degli Stati
Uniti”. Kazan volle Wallach (dopo il rifiuto di Marlon Brando) per
impersonare il personaggio piu' conturbante e dionisiaco,
l'immigrato siciliano Silva Vaccarro che seduce una minorenne
bionda del sud, lolita sposata a un ricco proprietario terriero,
frustrato sessualmente, ma ancora vergine e ritardata mentale (Carrol
Baker) in Baby Doll (1956), che resta il film preferito in assoluto da
Wallach (e che gli valse un Globo d'oro). Quella devastante bomba
d'immaginario, metafora dell'incestuoso e esangue razzismo sudista,
contribui' allo smantellamento dell'ormai inservibile e bigotto codice
Hays. L'interpretazione di Wallace che resta invece la piu' alta,
sovversiva e sottovalutata a livello critico e' quella del sicario
Dancer in The line up (1958) del liberal-radical Don Siegel (a
seconda dell'umore giornaliero), un giallo in bianco e nero che in Italia usci' con
il titolo Crimine silenzioso. Traffico di droga a San Francisco.
L'organizzazione nasconde la cocaina nei bagagli di inconsapevoli
turisti, che poi vengono derubati e assassinati uno a uno. Ci pensa
Dancer alla parte sporca del mercato. Con un sadismo talmente
estremo e consapevole da svelare via via come sia mostruosa l'intera
logica capitalistica basata sull'ottimizzazione del profitto con ogni
mezzo necessario. Non a caso perfino il piu' perverso e sadico dei
killer, come Dancer, alla fine non puo' che ritrovare un briciolo di
umanita' e ribellarsi a un meccanismo cinico e astrattamente
criminale, assassinando il 'grande capo', anzi scaraventandolo giu' da
una balaustra con tutta la sua sedia a rotelle, dopo che gli ha ordinato
la condanna a morte di una ragazzina colpevole di aver scambiato la
cocaina trovata nei suoi bagagli con dell'ottima, paradisiaca, cipria da trucco.
Tanto perfetta da averla usata proprio tutta tutta.... Questa volta la
metafora e' ancora piu' radicale. E sara' la censura critica e il
"politicamente corretto" a nascondere questo capolavoro noir nel
dimenticatoio. Piu' ricordate invece le sue interpretazioni western: il
bandito messicano Calvera dei “Magnifici sette” (1960) e soprattutto lo sdrucito Tuco, the ugly, quasi un giocattolo malvagio sprizzante
energia insana di Il buono, il brutto e il cattivo (1966) che fu
certamente della trilogia dei “dollari” di Sergio Leone quella che
incasso' di piu' in tutto il mondo, fu utilizzata da Bob Kennedy nella
campagna presidenziale per definire e inacidire i suoi avversari
politici, e' entrata nelle antologie per il duello a tre finale e ispiro'
anche il titolo dell'autobiografia di Wallach The Good, the Bad and
Me: In My Anecdotage
scritta nel 2005. In questi quattro lavori
Wallach allargava la fenomenologia del Male, ne facevano danzare i
chiaroscuri contagiando i personaggi, anche piu' 'immacolati', con
potenza virale. E forzava i confini di cio' che consideriamo 'umano' o
degno comunque di compassione cristiana. Sara' che la fede ebraica
di famiglia lo obbligava a fare i conti con una griglia di
comandamenti etici molto piu' analitica delle altre religioni, anche
laiche, con quegli oltre 600 divieti, e dunque anche con un culto
del dettaglio peccaminoso piu' perverso. In molti film indipendenti
Wallach fa non a caso il rabbino. Indimenticabile, per esempio, in
una commedia femminista troppo dimenticata, Girlfriends, di
Claudia Weil (1978).
Wallach, che era nato a Red Hook, il quartiere sul mare di Brooklyn,
tutto italiano, almeno allora, nel 1915, tranne la sua famiglia ebrea
polacca, e che si e' laureato in storia e arte a Austin, Texas, dove era
amico e compagno di corsi di Ann Sheridan e Walter Cronkite, e ha
studiato alla Neighborhood Playhouse School of Theatre di New
York, e' stato capace di cancellare, tra drammi teatrali molto adulti,
Baby Doll e i western spaghetti - girati con Tessari, Colizzi e Sergio
Corbucci dopo il litigio con Leone e alcuni incidenti di set estremamente pericolosi - la dicotomia bene/male perfino nel cinema
hollywoodiano, cosi' permaloso dei suoi standard e del suo canone
scientificamente commerciale. Basti ricordare Gli spostati di Huston,
con la collega di Actors Studio Marilyn Monroe (1961); Lord Jim di
Richard Brooks; Come rubare un milione di dollari e vivere felici di
William Wyler (1966) e il suo Don Altobello, il boss mafioso
avvelenato col dessert in Padrino parte III di Coppola (1990). Lo
stereotipo manicheo che illumina l'eroe e sprofonda nelle tenebre il
maligno antagonista, lui l'ha reso non solo meno banale, ma proprio
inefficace. “Voi forse non avete mai ucciso una mosca in vita vostra?
Ebbene e' un omicidio, no?”. Verrebbe proprio da intonare in suo
onore quell'antica e blasfema canzoncina romanesca che sbeffeggia
gli ipocriti e che in fondo era, del western di Leone, la morale
profonda: “E' morto un Cardinale che ha fatto bene e male. Il mal
l'ha fatto bene, e il ben l'ha fatto male”.


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