lunedì 4 luglio 2016

I Beach movies dalle origini ai giorni nostri



Roberto Silvestri

“Ogni generazione – come diceva George Orwell - è convinta di essere più intelligente della precedente e più saggia di quella successiva”. La mia, quella attorno al 68, e' un blob ancora indecifrato (certo i vecchi li amava, come Mao e Debord, e i giovani pure, visto che sarebbero durate un decennio le lotte). Chissà come sarà questa, dei ventenni di oggi, che, interrotta d'incanto l'occupazione di Wall Street,  è nuovamente attratta, o forse spinta, verso l'esodo, il viaggio on the road, l'avventura oltre i confini mentali vigenti e i piu' disincantati dei desideri. E, anche, verso un ritorno al mare, alla spiaggia, al party di notte tra le dune, alla bici e forse anche al beach movie. Filone fiorente, una cinquantina di film commerciali a basso costo, perfetti per i drive in estivi, che fiori' nell'America kennediana, appena uscita dall'incubo nucleare e dal puritanesimo bigotto che aveva incupito l'epoca maccartista. Il movimento di liberazione dei teenager  nacque li'... divertendosi. La piccola casa di produzione Aip chiamo' il regista televisivo di Lucy ed io, William Asher che invento' una coppia canterina chimicamente capace di produrre una “molecola” tutta differente ed efficace, certo anche un po' ridicola e camp (quella particolare sensibilita' che sa trasformare in serie le cose frivole e viceversa). Lui 24 anni, Franckie Avalon, lei 21, Annette Funicello, un cantante piu' femminile del solito e una creatura disneyana piu' che androgina, circondati da adolescenti bellezze, in bikini e palestrate. Nessun genitore tra i piedi. Il loro nemico Harvey Lambeck, capo subumano e inetto di una gang di Hell's Angels, non avrebbe mai potuto fermare i loro piani, musica rock, danza, surf, flirt... Beach Party,  Muscle Beach Party, Beach Blanket Bingo,  Bikini Beach e How to stuff a Wild Bikini, bassi costi alti incassi, furono successi color pastello dagli occhiali rosa. Certo. C'è anche bisogno di fantasia, rifugi, paradisi artificiali a basso grado di assuefazione, guai se non ci fossero i sogni!
Cosi' oggi, quando sceglie i film da vedere, la nuova generazione di teeangers e di ventenni, ipotizza altre via di fuga dal presente. Transformers 4, l'età dell'estinzione, lo dice il titolo stesso, ama poco lo status quo, ed è per questo un tipico beach movie del XXI secolo, anche senza mare, costumi da bagno e tavolette da surf. E poi il surf come si sa e' uno sport invernale piu' che estivo.... C'è la musica, metallara pesante, da Super Tir.  Ma, soprattutto, basta vedere l'ingresso trionfale della sua starlette bionda, Nicola Peltz, sulla jeep con gli amici, reduci da un Muscle Beach Party che, fuori campo, si è svolto sicuramente come prequel, immaginiamo, più appassionante del sequel (a giudicare dal volto progressivamente annoiato della stessa Peltz, via via che la grande battaglia verrà scatenata).
Ma il mare è proprio sparito dal cinema contemporaneo, non come ai tempi di Bond-SeanConnery o del ciclo beach israeliano di Pop Lemon. E anche dall'immaginario contemporaneo degli adolescenti. Tranne nelle forme “regredite” di fontana o di piscina. O associato a minaccia, tempesta, pioggia, uragano, horror. Gli zombies giustizieri dell'ultimo film di George Romero arrivavano dal mare... Pier Paolo Pasolini, irritato anche lui dalla supponenza di certi giovanotti (sono sempre supponenti e hanno sempre torto i giovanotti) disse una volta: “Ma cosa credete di fare? Ma chi vi credete di essere? Noi abbiamo visto il mare, voi non lo vedrete mai più”. Il mare ai tempi di Pasolini si poteva ancora raggiungere in 40 minuti dal centro di Roma. Adesso provateci. E quando ci arriverete troverete - a Ostia o a Fregene, così come a Santa Monica o a Malibu – un fondo non limpido e l'acqua inquinata....e Mafia capitale.
Fino agli anni 70-80, invece, Un mecoledì da leoni, costoso come un flop di lusso, Summer lovers e Blue Lagoon bersioni marine di Grease, ancora costituivano per i teenager la prova dell'esistenza del Paradise Now acquatico ed ecologicamente perfetto, e, per metafora, di un territorio immaginario liberato, di una scogliera dei desideri realizzabili, in perfetta autonomia rispetto agli ordini familiar-istituzionali. Poi il mare - Point break lo dimostra - è rimasto solo specchio, testimone di altro, agonismo, antagonismo, metafora politica...
In America, dove dollari e lavoro ricominciano a circolare, l'attrazione fatale del momento è per l'immaginario degli anni Ottanta, che volle dire proprio ritorno ai fifties, ai Cinquanta, al decennio dell'America Felix, della serena operosità, della fiducia, della speranza, del divertimento e, appunto, in finale di decennio, dei beach movies. Quelli che dal 1959 coinvolsero sulle battigie californiane, avvolte e avvinte dal rock'n'roll, dalla ribellione e dal sesso adolescenziale, vecchi attori cari come Vincent Price, Peter Lorre, Mickey Rooney, Bob Cumming, altre che Buster Keaton, i figli d'arte, come Nancy Sinatra e Beau Bridges, e registi dal futuro exploitation piu' impegnato come Roger Corman e Hershell Gordon Lewis. Gli yuppie più nostalgici adoravano quel primo decennio edonista, e portarono in trionfo perpetuo Grease, il beach movies honoris causa del 1978. Il ritorno, recente, di Frankie Valli in The Jersey Boys e della sua vocina bisex da controtenore, adorata in Grease, non e' casuale.
Con i surf, il rock, le sostanze psicotrope e poi con gli artisti di strada muniti di skateboard, si criticava sotto traccia la prepotenza colonialista, lo sfondamento ripetuto e continuato della Frontiera. I surfer non vogliono forse essere risospinti verso terra dalle onde, soprattutto dalle più gigantesche? Quel che gli skateboarder e i biker cercano a Los Angeles non e' evitare gli ingorghi e il caos di un traffico metropolitano che paralizza la “città delle auto”, ironizzando con perfidia crescente sui lati sempre più grotteschi di una espansione paralizzante?  Scudi stellari spirituali, quei film adolescenziali, che Quentin Tarantino giustamente ricalibra nei suoi doppi grindhouse pieni di sostanza culturale e politica indiretta, ma imbastiti di sesso, umorismo, alcool, movimento e  gioco d'azzardo, con frammenti di delinquenza giovanile, horror spinto, rock'n'roll, motociclisti, bad girls, giochi erotici, college, hippies in rivolta e dialoghi sporcaccioni.  “Tutte diozie”, sentenziava il New York Times, il quotidiano dei poteri cinematografici forti. Ma Andy Warhol, nel 1965, non puo' resistere al beach movie e gira My Hustler, regalando al genere anche una maggiore e esplicita disinvoltura omosessuale. 
La controcultura balneare 1963-1966 aveva avvertito: non e' tanto Felix l'America. E non lo sarà. Ed ecco il cinema a produrre digitalmente e in 3d un Male sempre più raccapricciante, la paura, l'incubo, l'apocalisse nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Super eroi contro Super Malvagi. Uno sforzo che ci ha dato anche grandi film, non solo horror. Proprio perché, come diceva perfino Malraux: “Il cinema non è un'arte. E' un'industria che ha modificato il concetto stesso di arte”. 
Ma solo i surfer, come gli antichi pescatori polinesiani pacifisti a cui avevano copiato le tavole, indicavano una risposta alternativa rispetto ai marines - e introversa, non interventista - alla crisi economica. Non furono ascoltati. E fu anche Vietnam, Cambogia e Laos... I surfer divennero poi, provocazione dopo provocazione, Sds, Simbionesi, Freaks come Frank Zappa, Weathermen e Black Panthers. E i loro nemici giurati, gli Hell's Angels sulle Harley Davidson, che in ogni beach movies provocavano risse e bloccavano senza successo i concerti e le danze, si sarebbero trasformati poi nei nuovi Kkk della cronaca tragica, nei generali Westmoreland e nei massacratori di My Lai e nei baruti dell'Isisi. A  Berkeley comparve, un bel giorno, la scritta: “Chi è il baby di Rosemary? E' Richard Nixon”. Polanski, l'inventore del “diavolo” fu costretto alla fuga. Surfer nazi must die (1987) di Lloyd Kauffman (Troma Dinasty) ha sintetizzato in un'ora e mezza e scodellato ai posteri la forza sovversiva di quelle immagini. Estate non e' solo divertimento.
Così oggi, per le strade di Los Angeles, vediamo dilagare la moda dei super short bianchi delle ragazze, proprio come quelli di Leggy Leigh Snoden in Hot Rod Rumble (1957) o di Mamie Van Doren in The beat generation (1959), due teen movie da culto pre-beach che anticiparono Berkeley e le rivolte. La mania del “chi mi ama mi segua”, quel celebre di dietro pubblicitario in denim jeans, è ormai global.
Tutto questo non equivale a riflusso e disimpegno, come non era solo evasione la disco music della Febbre del sabato sera di Travolta. Aguzzare gli occhi è necessario,  assumere rispetto ai “segreti generazionali” non il metodo critico e non inquisitorio, simile a quello dello scassinatore che appoggia l'orecchio e aspetta con calma il clic che aprirà la combinazione. Interessante, a questo proposito, ricordare il riaffiorare oggi del film musicale retrò, prima e attorno al rock, la biografia di Jimi Hendrix,  quella dei Four Seasons di Clint Eastwood e quella di James Brown, prodotto da Mick Jagger e in uscita in questi giorni e Eat that Question su Zappa.
Spring breakers di Harmony Korine in uno dei più pregnanti e lucidi beach movies degli ultimi decenni (i Vanzina di Miami Beach ne hanno fatto una timida parodia obliqua), ha avuto il merito di anticipare i tempi. Niente mare, infatti, piuttosto piscine che scatenano ogni pulsione di vita e di morte, in un romanzo di formazione, dell'americano comune sul denaro come fenomenologia del potere.

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