domenica 16 ottobre 2016

Festa di Roma. Lo Strzeminski di Wajda, vitalità del negativo. After Image, al di là della religione, della scienza e dell'arte gli ultimi 4 anni di lavoro di un artista comunista massacrato dai comunisti


Boguslav Linda in After Image di Andrzej Wajda
Roberto Silvestri

Come si guarda un quadro, per esempio di Van Gogh? Come funziona il nostro occhio? E la visione cos’è? Sono i colori che ci fanno muovere lo sguardo? Quali colori attraggono di più, i caldi come il rosso o i freddi come il blu, e quali sono gli altri punti di attrazione dello sguardo? Che gioco mnemonico si mette in moto quando entrano in campo i neuroni specchio?
Prendere la parola e attaccare il ministro
Risponderà a queste domande che la civiltà dell’immagine impone con sempre maggiore forza (anche perché, come diceva Virginia Woolf è così difficile dire qualunque cosa di fronte a un quadro) un bellissimo film su Wladislaw Strzeminski, insigne artista polacco più che comunista (fu attivo nell’Urss bolscevica fino al 1931, quando si trasferì a Lodz) che ebbe non pochi problemi con i comunisti polacchi al potere. Un’opera bellissima, emozionale e concettuale, diventata, contro voglia, un film-testamento. Anche perché è non poco autobiografica questo meditare sulla responsabilità morale dell'artista, ed era un progetto che Wajda covava da moltissimi anni…
Doveva essere qui alla Festa di Roma (13-23 ottobre) Andrzej Wajda, e non è arrivato alla conferenza stampa annunciata di questo suo nuovo film, AfterImage, ultima e ormai postuma lezione di controstoria e di estetica, presentata in anteprima europea dopo Toronto e in concomitanza con Busan/Pusan, in sud Corea, candidato da Varsavia all'Oscar per il migliore film straniero.   
C’erano però Pawel Edelman, il direttore della fotografia del Pianista di Polanski e di Katyn e l’attore protagonista Boguslaw Linda (vagamente somigliante ad Antonio Catania), che con Wajda ha già lavorato in L’uomo di ferro e Danton e, come José Ferrer quando faceva Toulouse-Lautrec, è costretto a far acrobazie con la gamba e con il braccio perché di trucchetti digitali neanche a parlarne. Cinema serio quello polacco.


gli studenti
After Image è la traduzione inglese di Powidoki, cioé “dopo l’immagine”. Il titolo del film dedicato alla vita e alle opere di questo grande artista d’avanguardia del secolo scorso (e, dietro di lui, agli artisti rivoluzionari sovietici della prima ora, fatti a pezzi via via dalla controrivoluzione staliniana dell’immaginario) è stranamente lo stesso di una sofisticata rivista teorica d’arte visuale newyorchese,  arrivata al numero 44 (è anche on line).
Una rivista di combattimento, dalla parte di chi fa della ricerca di nuove forme e concetti spazio-temporali, una missione che non permette compromessi e opportunismi. Uno strumento morale dell’avanguardia.

Wajda e Pawel Edelman (a destra)
Dopo l’immagine
, nella teoria della ricezione, ha un senso buono, positivo. Quello di considerare l’immagine forma vitale e non forma vuota, un accumulatore d’eccitazione, un modo “per politicizzare l’arte e non per abbellire la politica o imbellettar contenuti”, il movimento che confina, deturpa e disturba lo stato di cose vigente. “L’arte non è qualcosa di utile, è semplicemente qualcosa di superiore”, sintetizzava Strzeminski, artista suprematista del cenacolo Malevic, nato a Minsk, in Bielorussia, ma polacco - come Malevic era nato a Kiev ma da un fattore di origine polacca - non per proteggere la sua casta, ma perché la funzione estetica fa esplodere di potenza metamorfica tutte le nostre facoltà, comunicative e emozionali, portandoti all’estasi, al di là dell’umano, nella non-oggettività, che è una forma di conoscenza, non utilitaristica, né scientifica né religiosa, ma oltre, del mondo.  Arte automa, e non subordinata alla politica, ma nel senso che le sue implicazioni con la vita sociale e con l’attività umana sono molto più estese. Non a caso Stzeminski si è occupato contemporaneamente di poesia visiva, tipografia, scultura, filosofia, scienza della percezione, architettura…  

Wladislaw Strzeminski, i quadri dell'ultimo periodo
Dunque l’arte “è collegata non allo spirito, all’irrazionalità creativa, ma alla fisiologia”. Alla scienza del guardare, del vedere, dell’osservare ben dietro e dopo le apparenze. Alla crescita dell’occhio, quella continua evoluzione biologica della lacrima (proprio come sosteneva Alberto Grifi). Rischando anche di perderla la vista perché nella fase finale della sua ricerca, ha creato una serie di dipinti chiamati "Solaristic" che si basavano sulle "immagini residue", ricordi di forme e colori che sono simili a quelle (pericolose) bloccate sulla retina se si fissa il sole. Un modo per aggirare i dettami del realismo, attraverso la creazione di nuove regole di rappresentazione diversamente astratte.   



Wladislaw Strzeminski, primo periodo suprematista
Tutte cose pericolose che il Potere (e anche il potere) cerca di oscurare e perfino accecare davvero, come vediamo nel film. Chi blocca gli artisti, vuole devitalizzare i cittadini. Lo sappiamo bene visto che abbiamo assistito al caso Dario Fo. Punta all’irrealismo, socialista o capitalista che sia. I formalisti russi e la scuola di Praga, fase suprema di conoscenza spessa e consapevole del linguaggio, dei suoi procedimenti, della sua storia materica e delle sue forme concrete, di sperimentazione libera, surrealista, iperrealista, post-realista e antirealista, se necessario, cercarono inutilmente di sostenere e proteggere negli anni trenta tutti coloro che si opposero al mainstream dell’arte asservita, come Vertov, Eisenstein, Malevic, Majakovski, Chlebnicov… E i loro allievi, sopravvissuti alle stragi naziste della “menti attive degenerate”.         
Wajda e la figlia di Strzeminski
E proprio di un altro furibondo scontro sull’arte, avvenuto però dopo, durante la guerra fredda, non teorico, non tra riviste contrapposte, ma esistenzialmente devastante, tratta il film.



“Dopo l’immagine” può avere anche un altro significato, più negativo. Cosa c’è dopo l’immagine, dopo il suo essere senso-non senso, strumento scientifico (post quantista) che ne critica ogni strumentalità tecnologica e di classe? C’è il segno. A decifrazione obbligatoria. Come nella segnaletica stradale. C’è la parola d’ordine. C’è il polisenso umiliato e degradato a senso unico e obbligatorio.  C’è l’arte asservita all’utile, o peggio, alla poetica imperante, o alla linea di un partito… C’è il visivo e non l’immagine, direbbe Jean-Luc Godard.
Quel frangente della nostra storia, attorno agli anni 50 del secolo scorso, fu il vero momento magico del nichilismo capitalista, privato e di stato (si era pronti, consensualmente, giocondamente alla deflagrazione nucleare, non fosse stato per un possente movimento di contestazione dal basso, all’est e all’ovest), altro che anime belle anarchiche e sovversive, e come appendice culturale quel movimento nichilista fu pure iconoclasta, sia nell’est europeo cristiano ortodosso, sia nel mondo angloamericano protestante. L’Isis apprenderà da Mosca e Washington, come si fa a distruggere le opere d’arte senza provare alcun pentimento. Da una parte, negli Stati Uniti il maccartismo ricopre e distrugge i murales “comunisti” di Rivera, Siqueiros & Co., commissionati da Eleonor Roosevelt, e si cacciano le streghe dagli uffici pubblici, dalle scuole, dalla radio e dal cinema, Andy Warhol elabora grazie alla sua ricezione dada del figuratismo realista la Pop Art. W il consumismo che, eccitato troppo, distruggerà il consumismo (sta per esplodere Berkeley…).
Una scultura della moglie di Strzeminski, Katarzyna Kobro
Intanto, per ordine di Mosca le democrazie popolari, da Praga a Bucarest, da Budapest a Varsavia, sono obbligate a imporre ai propri artisti i dogmi non più aggirabili del “realismo socialista”, lasciando increduli e sbigottiti di fronte all’incompetente catechismo di Zdanov pittori, scrittori, scultori, cineasti… Le giustificazioni di Zdanov? L’Arte deve essere comprensibile e non elitaria. Dunque. L’Arte deve fare colore, colorizzare, riempire di caldi cromatismi gli slogan politici (neanche rivoluzionari, anzi proprio inneggianti alla schiavitù salariale, stakanovisti) per coprire, si scoprirà a Berlino 1953 e a Budapest 1956, lo sfruttamento intensivo degli operai e dei contadini (L’uomo di marmo) ad opera del partito-stato, aberrazione teorica che avrebbe fatto vomitare Marx, Engels e Lenin e i proletari tutti, scippati da sempre del loro diritto alla dittatura festiva.
Ma Andrzej Wajda, che in gioventù voleva diventare pittore, e aveva frequentato l’Accademia d’arte di Cracovia, incrociando poi fatalmente  Luis Bunuel sulla sua strada e trovando un’altra via di espressione e comunicazione con le immagini, più spirituale ancora, perché capace di vivisezionare meglio importanti elementi della vita, purtroppo è morto qualche giorno fa, lucido e attivo fino agli ultimi minuti, come Dario Fo.
      
Katarzyna Kobro
1949-1952, prima della morte di Stalin e della caduta in disgrazia di Bierut, segretario generale del Partito Unificato Operaio di Polonia. Parte la persecuzione - durerà quattro anni, fino alla morte del più prestigioso artista polacco - contro Wladislaw Strzeminski, in prima fila tra gli artisti sovietici nel dopo rivoluzione d’Ottobre, collaboratore della rivista Blok. Membro progressista degli a.r. (“artisti rivoluzionari”), professore alla scuola nazionale d’arte di Lodz, che ha co-fondato, iscritto al sindacato pittori, maestro adorato di un gruppo di studenti che lo considerano una leggenda vivente dell’arte moderna, Strzeminski osa contraddire platealmente, durante una di quelle manifestazioni ufficiali dove solo l’ipocrisia regna, il ministro della cultura in persona e ha già irritato il partito perché ha squarciato un gigantesco ritratto di Stalin su fondo rosso che aveva coperto la finestra del suo appartamento, disturbandolo mentre era al lavoro. Non obbedirà mai all’ordine di allinearsi al dogma del “realismo socialista”, visto che ha già combattuto le illusioni del dinamismo spaziale e affermato l’autonomia del piano del quadro, ma non certo per santificare spalmandoglielo sopra, un leader baffuto di serie b come Bierut.



Katarzyna Kobro
Non si è mai allineato neppure alle sue più cubo-futuriste e dadaiste tendenze, anzi lo troviamo a disegnare nei primi anni 50 amebe astratte, forme biomorfe in stile quasi liciniano, figuriamoci se vorrà trasformare le icone sacre della tradizione cristiana-russo-ortodossa in slogan a fumetti apologetici, privi di ogni profondità emozionale, imposti da Mosca che trasformano in santini i membri del Partito e gli eroici edificatori del socialismo. Il realismo poi non appartiene alla tradizione culturale visiva sovietica, perché il Rinascimento non è mai passato per San Pietroburgo. E senza studi prospettici seri, niente realismo, sarebbe una contraddizione: è lì che nasce l’individualismo, il cosmopolismo, la metamorfosi della forma merce, no?... Come scriverà in quegli anni sul Contemporaneo di Togliatti, e non senza timori, un comunista eccentrico come John Berger.
Wladislaw Strzeminski, ultimo periodo

Per chi, come Strzeminski, ha partecipato ai movimenti cubisti, suprematisti e costruttivisti della prima ora Vitebsk e Smolensk, indicando nella non oggettività, nelle superfici concrete, a tonalità bicolori, e a geometria posteuclidea, una più accurata riproduzione dei processi fisiologici della visione e, nei primi anni trenta, ha fondato l’unismo (unità organica di trama, colori e composizione), anticipando di trent’anni l’optical art e l’arte cinetica, accompagnando la sua ricerca con scritti teorici di sulfurea potenza, allinearsi vuol dire smentire la sua vita, le sue opere e i suoi insegnamenti. Che obbligano alla libertà della ricerca individuale. E i suoi allievi a metterlo in discussione continuamente, mai a imitarlo (tranne quando improvvisa degli happening rotolandosi dalla vetta delle colline giù per il declivio). Sarebbe stato come se Richard Meier  avesse distrutto la sua Ara Pacis dopo aver ascoltato le critiche del sindaco Alemanno (quello che aveva davvero rotto - il patto di fiducia coi cittadini - ma quel bradipo di Pd se n’è accorto in ritardo e se l’è presa con un altro). Al fianco di Strzeminski, per molti anni, la moglie scultrice, un’altra leggenda vivente dell’arte polacca, Katarzyna Kobro che divide con lui la sala neoplastica del museo Sztuki di Łódź, che ha fondato nel 1934, allestita nel 1948 dallo stesso Strzeminski e che non a caso viene chiusa d’autorità nel 1952 (e poi sarà riaperta dai comunisti nel 1969, dopo le prime lotte di Gdansk e Stettino). Divorziato da Kobro, che mai vedremo nel film, tranne nella cassa da morto il giorno del suo  funerale, seguita solo dalla figlia teenager con il cappottino rosso, l’unico che ha, assistiamo alla caduta solitaria di Wladislaw, descritta alla Umberto D.
Wladislaw Strzeminski
Cacciato dall’Accademia e dal sindacato perde tutti i  lavoro perché gli viene stracciata la tessera professionale, tranne quando chi lo assume non sa neanche chi sia. Assistito solo dalla giovane figlia, che viene anche cacciata di casa, viene lasciato morire di fame, gli è proibito perfino acquistare i colori, vengono assaltate da teppisti “rossi” le mostre dei suoi allievi, cancellati i murales anticoloniali dai luoghi pubblici (un bellissimo bar tropicalista), non gli rinnovano la tessera per acquistare la carne contingentata nei negozi (e qui vediamo che le lunghe file della propaganda occidentale erano davvero lunghe file disperate), la badante che lo aiutava lo abbandona, nonostante sia un mutilato di guerra, un ex ufficiale patriota che aveva perduto una gamba e un braccio sul fronte 15-18, mentre a poco a poco anche i suoi studenti scappano perché vengono terrorizzati dalla polizia segreta che vorrebbero impedire la pubblicazione del libro teorico più importante di Strzeminski,  Teoria della visione, scritto solo grazie al furto di una macchina da scrivere (eseguito dall’allieva più innamorata, irresponsabile e senza speranza) perché, come oggi Internet, la dittatura del Poup controllava e schedava tutte le macchine da scrivere, pericolosissimo oggetto sovversivo.    


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