domenica 5 febbraio 2017

Due Amleti in più a Elsinora. A teatro e al cinema. "La prova" di Ninni Bruschetta




di Roberto Silvestri


“Come è noioso assistere sul grande schermo alle riprese delle prove  teatrali. Utilissime per ogni allestimento scenico, ma, applicazione pratica a parte, non c’è genere cinematografico più ostile allo spettatore. Però qui non si tratta di vedere come nasce faticosamente un’azione drammatica, ma di godersi un documentario a tutto tondo su corpi e voci attoriali agonisticamente spettacolari”.

Questo è, più o meno, il succo dell’introduzione del critico Mario Sesti a La prova (2017), girato da Ninni Bruschetta durante le prove (in sedi diverse) di Amleto, allestito due anni fa dal teatro Vittorio Emanuele di Messina a partire dalla traduzione di Angelo Serpieri, e con una compagnia di giovani attori messinesi di talento guidati da veterani di fama, ipnotizzano pur sembrando, perfino in prova, in trance (in particolare la regina e Ofelia, la “folle impura” e quella pura, aldiqua e al di là di Piera degli Esposti, di Valeria Bruni Tedeschi e di Nico dei Velvet Underground).

Ninni Bruschetta, il regista dell'allestimento scenico e del film
Un promemoria, quello di Sesti, per il pubblico, alle prese con un’opera che ha rapporti con i rigorosi lavori cine-teatrali di Fassbinder e Bergman, e meno con chi utilizza laboratori e “prove” al cinema per parlare, più che del testo e della sua messa in scena, di altre cose (Proof, Rumori fuori scena, Chorus line, La sera della prima…). 

Un Amleto in più, questo, fedele al testo e dunque modernizzato e a tratti tradito come richiede, che sa toccare corde emotive interiori e delicate, esteriori e indiavolate quando penetra nella trance delle performance. In quel gioco di massacro tra un nuovo mondo insorgente e un vecchio mondo cadente (e che mai crolla, maledizione), un vecchio corpo e un nuovo corpo, e di metamorfosi tra vita e spettralità, che è il cuore di questo testo rivoluzionario.  Cogliere così quella famosa trance agonistica, “quando non capisci più cosa devi fare e cosa non devi fare e hai perso davvero la ragione”, come dicevano i telecronisti commentando lìalea finale di Camerun-Egitto alla Coppa d’Africa, come forse neppure John Gielgud seppe fare… Al "penso di essere sottomesso al Re" viene sostuito, attraverso la tragedia di Amleto, il "penso dunque sono" e sono un individuo libero. La nascita della modernità e l'ingresso del fare borghese dentro l'era cartesiana viene sovrimposta alla nascita del cinema e all'arte e dell'individualismo democratico. Due salti in avanti che oggi rischiano, in questo nuovo Impero globale, ridipinto di falso protezionismo e dalla borghesia liquida, i tre passi indietro. "Angeli e ministri della grazia, difendeteci", direbbe Amleto con Shakespeare, l'outsider del 1600. La passione drammatica e la bellezza lirica in quel testo sono fusi e non si possono separare. E la salvezza può arrivare solo dall'esterno, dal forestiero (Fortebraccio, in questo caso. Non a caso era questo lo pseudonimo del corsivista dell'Unità nei tempi di alta passione per la bellezza dell'Urss). Doveva essere davvero spettacolare nel XVII secolo vedere, in Amleto l'arrivo del primo intellettuale moderno sulla scena (come Hobbles e Locke sul piano filosofico) se non altro perché produceva i suoi drammi investiva nei costumi e comprava teatri. La sua virtù (e il suo vizio)  è l'amore per la speculazione intellettuale e per la responsabilità sociale di un individuo. Ecco perché Amleto ha sempre avuto, fin dalla prima rappresentazione, un successo di pubblico strepitoso. Ma consiglio di leggere a questo proposito il bel saggio Notes on Hamlet di Cyril Lionel Robert James (in The C.L.R James Reader, edited by Anna Grimshow (Blackwell, 1992). 

Molto di tutto questo viene visualizzato e chiarito dalle luci di Giovanni Ragone (direttore della fotografia) e dai suoni, rumori e muiche catturati da Giampaolo Catanzaro (fonico), e grazie ai costumi atemporali di Cinzia Preitano (prove e non prove) e a una piattaforma-ring (creata dalla scenografa Mariella Bellantone) che sa di Superbowl, perché vi si vedrà schermare sopra, faccia a faccia, i tanti attori di questa piece non solo con le spade avvelenate e con i muscoli in bella vista, ma anche con le parole aguzze, con gli sguardi-trappola, con la simulazione abietta, con i nascondini puerili, con i gesti di millimetrica perfidia,  e con i più folli giochi di parole: “perché sono pazzi tutti gli inglesi”. Già, non di Danimarca si tratta, nell’Amleto e di un antica “sindrome Brexit”…

Angelo Campolo (Amleto)
Il regista dell’operazione, anche cinematografica, è il messinese Ninni Bruschetta, ormai star delle serie tv, anche se ha al suo attivo, come attore, oltre quaranta film per il cinema (e molti strafamosi).

Antonino Bruschetta detto Ninni, Duccio in Boris, e in Romanzo siciliano Buscemi, ha anche scritto due libri, di teoria teatrale il primo e, il secondo, “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista” che rimette un po’ a posto le gerarchie del buon senso estetico.


Celeste Gugliandolo (Ofelia)
Ninni Bruschetta è stato il direttore del teatro di Messina alla fine degli anni 90, lo stesso che, rimessosi a posto finanziariamente, ha prodotto questo bellissimo Amleto per la scena (un anno di tournéé ovunque, tranne che a Roma) e questo film. E accompagna gli attori e le attrici dalla lettura del testo alla prova generale, in un climax emozionale che sa di slalom speciale. E va avanti e indietro attraversando quel rapporto a quattro tra ogni attore e la sua parte, di cui il montaggio svela il processo intimo: conoscenza/immedesimazione/sdoppiamento/allontanamento. Quando lo straniamento di Brecht non diventa solo la trasformazione di un oggetto d’arte in qualcosa che non è solo bello o non bello, ma in un mezzo attraverso cui esprimere una filosofia, uno sguardo sul mondo (di ieri e di oggi), un’indagine impietosa sull’identità mutante.  Bruschetta indica così le emozioni e, come Carmelo Bene, permette al pubblico di rifletterci sopra (e anche di giocarci) mentre le osservano, ma non solo. Come teorizzava Fassbinder: il pubblico deve provarle davvero le emozioni: non solo pensare, ma sentire.

Prove di Amleto
Incantato dalla “potenza linguistica e narrativa del capolavoro shakespeariano”, Bruschetta, che non è al primo Shakespeare di carriera, accentua il gioco fonetico-gestuale semovente e barocco del testo -  rallentamenti e accelerazioni,  che il montaggio ellittico del cinema rendono di un dinamismo ineguagliabile – aiutato da ben 16 microfoni e dal rimontaggio (non integralmente, 81 minuti in tutto, rispetto alle oltre due ore della messa in scena teatrale) di Nello Grieco (un “co-regista vero e proprio, secondo il regista). All’opera oltre una ventina di eccellenti attori siciliani, come il ronconiano Angelo Campolo (Amleto); Maria Sole Mansutti (la regina Gertrude) e Emmanuele Aita (Claudio), selezionati dopo un laboratorio per giovani; Celeste Gugliandolo (una Ofelia dalle doti canore inusuali), Antonio Aveario (Polonio), già partner di Leo, Ivan Bertolami (Laerte), Francesco Natoli (Orazio).


Emanuele Aita (re Claudio)

E’ il quinto appuntamento, il 4 febbraio,  affollatissimo come sempre, con il cinema del Maxxi di Roma, il museo di arte contemporanea che, tra le mostre in allestimento, prevede un altro tuffo nell’immaginario siciliano, le straordinarie visioni fotografiche di un’artista di combattimento, e non solo contro la mafia, Letizia Battaglia (fino al 17 aprile). E che ormai ospita il cinema, Festa di Roma a parte, nei suoi cinque aspetti di: anteprime prestigiose, cartoon, doc, corti e abbinati alle mostre.

Maria Sole Mansutti (la regina Gertrude)
Si tratta della seconda regia, dopo la codirezione di Visioni private (1989),  Bruschetta, l’attore e regista anche teatrale e televisione, che esordì, sempre con Francesco Calogero, nella Gentilezza del tocco (1987) e fu subito Berlino. E vennero poi Silvio Soldini, Corsicato, Sorrentino, Alex Infascelli, Maselli, Woody Allen, Pif e Sabina Guzzanti….  Dalle 400 ore di girato prima di andare in scena. % ore al giorno di riprese ….  E, a proposito di Francesco Calogero. Che era in sala. E che raccontava come il suo ultimo film, La seconda primavera, uno dei migliori film italiani della stagione 2015, ha appena compiuto una fitta tournée negli Stati Uniti. E continua una lunghissima distribuzione (sarà per la prima volta a Napoli tra qualche giorno). Protagonista, anche lì, accanto a Claudio Botosso, Desiree Noferini e Anita Kravos, un Angelo Campolo in grande forma.  Invece di 350 copie bruciate in un giorno solo, una copia o due non bruciate neppure dopo 350 giorni... 

Angelo Campolo e Maria Sole Mansutti

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