venerdì 28 aprile 2017

Demme. The Agronomist



Roberto Silvestri 

L’AGRONOMO
THE AGRONOMIST
Jonathan Demme, Usa, 2003

Haiti, «nuovo territorio» ma non per Jonathan Demme che ha un'antica liaison con l'isola, con i suoi artisti, musicisti e cineasti e con i Dreams of Democracy, sogni di democrazia (titolo di un documentario realizzato con la collaborazione della haitiana newyorkese Patricia Benoit e che Demme ha prodotto nel '87) di un popolo tra i più derubati e sfruttati della terra. «Clinica Estetico», la compagnia di Demme questa volta ci racconta la storia di un suo amico intimo, attivista di Amnesty International e tante altre cose. 

E non è certo un piacere esotico che lo ha portato a Por au Prince. In fondo ci sono più haitiani a Manhattan che nell'isola. E al famoso Haitian Corner Raoul Peck ha dedicato un magnifico film. Inoltre la musica. Dove c'è buona musica (dalla Compas al Ra-Ra al Vaccine fino al pop contemporaneo di un "genio della nostra epoca" come Wyclef Jean e Jerry "Wonder" Duplessis) ecco che spunta Demme. Infine. A chi si arrabbatta per scoprire quale è la ricetta del documentarismo perfetto ecco il contributo di Demme (che ama passare senza soluzione di continuità da una forma di cinema all'altra, e montava Agronomist mentre girava  The truth about Charlie). Mischiare i generi: fiction, non fiction, footage, performance musicali, interviste... cioé drammatizzare il documento e rendere veritiera la finzione. Tutto qua. 


Così Demme racconta di un amico e di un eroe del microfono e della resistenza, Jean Dominique, L'Agronomo. Un racconto in «diretta» dalla stazione radiofonica Radio Haiti Inter, postazione privilegiata dell'attivista politico della sinistra che ha attraversato con passione e intelligenza, dal 1968 al 2000, fino all'esecuzione "misteriosa" fdel suo fondatore, rivoluzioni e repressioni, colpi di stato militari, invasioni, insurrezioni, feste voodoo, tutto scritto sulla facciata dell'edificio smitragliato di colpi d'arma da fuoco. 

Colpi registrati da Jean, soundtrack da mischiare all'allegra sigla dell'emittente, temibile per ogni regime e dove la lingua francese dell'élite - le dieci potenti famiglie che hanno sequestrato economicamente e politicamente l'isola da due secoli - è stata sostituita con il creolo-haitiano dei contadini e degli operai della canna da zucchero, ora poco più di centomila persone, ma nel 1804 il nucleo dell'esercito di schiavi, già proletariamente cosciente e unificato, guidato da Toussaint Louverture che sbriciolò militarmente le truppe coloniali di Napoleone, purificò da ogni sfumatura razzista il concetto rivoluzionario di «uguaglianza, libertà, fraternità», tenne alla larga per qualche anno spagnoli e inglesi, e fondò la prima repubblica «all black» indipendente. 50 anni prima dell'Italia. 

Una storia raccolta dal regista del Silenzio degli innocenti per rendere omaggio a un grande popolo dalla straordinaria cultura e a un amico. E per raccontare di come la democrazia si accendeva ad Haiti e si spegneva a fasi alterne in relazione all'America di Carter e di Clinton o dei cow-boys che precedettero F.D. Roosevelt e dominarono poi gli anni `80, Reagan-Bush, scatenanti i plotoni assassini dei Ton Ton Macute dei loro pupazzi, Papà e «Baby» Doc, i Duvalier. Jean Dominique ha una faccia forte sagomata in un sorriso ruggente, sarebbe un attore perfetto per recitare nella parte di se stesso.

Non a caso Dominique assomiglia, anche come verve e furore, a Jean-Louis Barrault, più che un interprete, una furia umana dalle good vibrations. Il giornalista e attivista di Radio Haiti parla a Jonathan Demme, che lo avvicinò quand'era in esilio a New York, e lo intervitò una ventina di volte, in un intermezzo tra un colpo di stato e l'altro. Quando Carter smise di appoggiare Papà Doc - che forse aveva perduto il contatto con il popolo e l'amore strumentale per il voodoo - i microfoni di Jean ripresero a strillare le news, ma le interferenze si moltiplicarono di anno in anno. Arrivò il figlio del dittatore nero per governare una borghesia creola, più che bianca, e dopo di lui i marines a mettere ordine e poi di nuovo colpo di stato. Radio muta, Jean Dominique in esilio.


La lunga intervista a Demme è frammentata da immagini dell'epoca, ma anche dai primi film di produzione haitiana, che Dominique, fondatore dell'unico cine-club, aveva stimolato: dal mitico documentario di Arnold Antonin (anche intervistato), un pamphlet anti-imperialista del 1973 che tanto piacque a Graham Greene, fino al mediometraggio fiction Anita, di Rassoul Labouchin ('84) che fu scoperto in Occidente dalla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, e a Mais, je suis belle. E il film sale inquietante, pieno di suspence, sostenuto da un colonna sonora incalzante (Demme ha prodotto anche un disco dei Frères Parents negli anni 80), vibrante nelle parole scandite come in un balletto vocale del cronista, innamorato, supporter e poi deluso da Jean-Bertrand Aristide.

Riportato alla guida di Haiti da Clinton, dopo il colpo di stato del 1993, il primo presidente votato dal popolo, scende a compromessi con i rappresentanti della vecchia dittatura e con i latifondisti contro i contadini, schierati contro l'importazione massiccia di etanolo, che sostituisce la canna da zucchero nelle bevande alcoliche. Finché sarà anche lui ostaggio degli uomini forti del suo partito che decreteranno tre anni fa,il 3 aprile del 2000, l'uccisione di Dominique, mai concepita neppure dai feroci Duvalier. Demme torna nell'isola proprio nel maggio dello stesso anno a intervistare amici e familiari del grande rivoluzionario. Nel film il capo della polizia (il caso ancora non è stato risolto) si chiama Jean Dominique. E il tenente Dessalin, proprio come l'altro grande eroe della riboluzione haitiana del 1804. Però la radio non si è spenta, e oggi è animata con ancora più forza dalla moglie Michèle Montas e dalla famiglia dell'«agronomo» passato alla radio perché rendere ricca l'agricoltura di un paese dalla terra fertilissima è un crimine che le multinazionali puniscono ancor più velocemente e ferocemente.




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