giovedì 7 dicembre 2017

L'America di Trump vive a "Suburbicon"



mariuccia ciotta

E' uscito nelle sale Suburbicon di George Clooney, passato in concorso alla Mostra di Venezia 2017

Le casette a schiera color pastello di True Stories con tutti gli orrori nascosti della middle-class americana, passano dalla regia stralunata di Davyd Byrne a quella dell'attivista, ai tempi del KKK di ritorno, George Clooney. La figura del bianco perbenista e razzista è convertita in stereotipo, silhouette satirica, qualcosa come i disegni dei grassi capitalisti col cilindro di George Grosz. Ed è un nonsense perciò accusare di manicheismo Suburbicon, luogo della felicità, un'altra “città ideale” come quella in miniatura di Downsizing diretto da Alexander Payne
1959, l'iconografia d'epoca è stampata sulle Cadillac con le pinne e su Julianne Moore, acconciatura ondulata, rossetto sgargiante, gonne a ruota, modello Doris Day. E se la perfezione della donna ideale è deturpata da una sedia a rotelle, ecco la gemella tutta nuova prendere il suo posto. Julianne si sdoppia accanto a Matt Damon, americano medio e irreprensibile, ma...
Non siamo dalle parti del Buio oltre la siepe, anche se gli anni sono gli stessi o quasi, 1960 il romanzo, 1962 il film, perché in Suburbicon c'è il segno dei fratelli Coen, autori della sceneggiatura inedita scritta nel 1986, poco dopo Blood simple, scartata dai produttori e acquistata nel 2005 da Clooney. Il copione, però, non è in sintonia con la presidenza Obama e il film dovrà aspettare il ritorno alla Casa Bianca degli anni Ottanta di Reagan per visualizzare le sagome dei suprematisti bianchi all'assalto di una “casetta bianca”, dove abitano i nuovi inquilini William e Daisy Meyers, african-american elegantissimi, protagonisti reali delle lotte per i diritti civili.
L'assenza dei Coen si fa sentire. Ed è una fortuna. La bandiera dei confederati brucia meglio sui davanzali di Suburbicon nella regia dell'autore di Good Night Good Luck che versa Cocacola su irriverenza autoriale e humour yiddish, e preferisce il pop americano, la commedia politica dichiarata. Suburbicon non ha la pretesa del mondo sofisticato e cinico dei fratelli ma sceglie la comicità spaventosa e grottesca di una storia vera, più vicina all'iconografia del fondatore dei Talking Heads.
Musica hitchcockiana di Alexandre Desplat per il thriller psico-razziale, una moglie e una famiglia black di troppo, e al centro il ragazzino Nicky (Noah Jupe, splendido) che farà amicizia con il coetaneo nero dirimpettaio, in comune un serpentello e il baseball. Dovrà sventare un complotto criminale in famiglia, tra killer, soda caustica, coltelli, strangolamenti, sangue a fiumi. Delitti paralleli dentro e fuori le mura di casa. Presenza indiretta dei Coen nelle vesti di Oscar Isaac, interpretazione da premio, l'attore di A proposito di Davis che qui interpreta un assicuratore sulfureo, capace di sentire l'odore della truffa oltre il profumo dei pancake. La coppia diabolica sogna il paradiso di Aruba, Caraibi, ma la macchina da presa sale e inquadra l'inferno di Suburbicon dove solo due bambini con guantone e palla sopravvivono.


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