giovedì 11 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Lettura "official" e lettura "provisional"


Midred (Frances McDormand) in azione 


Roberto Silvestri
Una mamma bianca, Mildred Hayes, chiede da mesi giustizia per la bionda figlia quindicenne, stuprata e bruciata viva una notte di ormai troppi mesi fa. Passa il tempo e… nessun indiziato, nessun denunciato, nessun arresto.  Rabbia e dolore.
Così, come avrebbe fatto Judy Holliday tanti decenni fa nella metropoli, Mildred affitta allora per un anno tre cartelloni pubblicitari giganteschi fuori città e fuori vista, dove incolpa con nomi e cognomi gli inetti inquirenti: “Stuprata mentre moriva”; “Ancora nessun arresto” e “Che fai sceriffo Willoughby? 
L'atto, megafonato in tv, genera scandalo e polemiche crescenti, non solo tra i rozzi poliziotti piccati ma nell’intera comunità perché lo sceriffo è una persona seria, un padre di famiglia rispettato, onesto e scupoloso (oltretutto in fin di vita per un cancro). Non inventa mostri da sbattere in prima pagina, come di solito si fa. Ma l’impasse e l’ostilità che circonda la donna, minacciata e colpita subdolamente nelle amicizie più care, accentua il suo furore vendicativo psicotico, da “giustiziera della notte”, causato anche dai sensi di colpa (per un litigio quella notte fatale Mildred aveva negato l’auto alla figlia), dai crescenti conflitti con l’ex marito, che l’ha lasciata per una diciannovenne dalla bellezza dell’asino, dall’incomprensione del figlio e dall’odio che le riserva il cop Dixon, uno dei personaggi cattivi più affascinanti e sfaccettati del recente cinema, innamorato com'è dello sceriffo Willoughby e che lei crede abbia bruciato i suoi (costosissimi) manifesti.
Così la vecchia signora indegna buca un dito con il trapano al dentista nemico, picchia due liceali, incendia con 5 molotov (imitando un black block) la centrale di polizia e brucia quasi vivo, ma involontariamente, quel razzista di Dixon, minaccia con una bottiglia di vino bianco semipiena l'ex marito e resta gelida di fronte al fatto che lo sceriffo si fa saltare le cervella. Però fa crescere tanti fiori rossi sotto i suoi cartelloni pubblicitari  (come se fosse Morgan matto da legare nel film di Karel Reisz) e un giorno viene a farle visita proprio lì sotto un piccolo Bambi sperduto.
il regista irlandese Martin McDonagh

Tre manifesti a Ebbing, Missouri, il film (irlandese) del momento, in uscita anche in Italia, si può raccontare anche in altri tre modi.

Mildred, una signora sessantenne con  tuta da metameccanico incorporata, combatte sola contro tutti,  polizia compresa. Ma questa donna è uguale a John Wayne. Cammina come lui. Guarda come lui.  Implacabile per il 99%. Tenerissima per tutto il resto. Non lotta per sé stessa e per la sua famiglia. Che anzi si defila. Ma per un principio etico.
E anche. Una riflessione acida sulla sindrome Barack Obama President e i suoi effetti boomerang sull'immaginario sadico del profondo sud. Però il film è stato scritto otto anni fa….
Infine tre manifesti contro: il machismo, la violenza alle donne e il femminicidio, riprendendo il discorso da Coraggio… fatti ammazzare, 1983, Clint Eastwood: “solo violenza aiuta dove violenza regna”.  Un caso di stupro e uccisione lì. E qui. Just in time.
Frances McDormand e Harry Harrelson (lo sceriffo Willoughby)
In genere i britannici che si impicciano troppo delle interiora America vengono guardati con antico sospetto. A Hitchcock non è mai stato consegnato un Oscar. E diffidano anche degli europei. Quando Roberto Minervini e Gianfranco Rosi hanno indicato troppi nervi scoperti in Usa sono stati snobbati. Però adesso le cose stanno cambiando. Perfino nelle terre dei redneck. C’è un nemico interno e potente, pericoloso e imprevisto. E allora. 
Il baricentro del film di Martin McDonagh è infatti la scena della cacciata di padre Montgomery dalla casa di Mildred. Una sequenza che si ispira a un film precedente di suo fratello, John Michael McDonagh, Calvario (2014), in cui un prete buono viene minacciato di morte come capro espiatorio per essere stato abusato da un prete maniaco, e che andrà di traverso, in Italia, a tutti coloro che trovarono il teorema Calogero digeribile, anzi ingegnoso. Quella dove Mildred, per rintuzzare una predica fuori luogo, fa un ardito parallelo tra chiesa cattolica e “Crips & Bloods”. Attenzione. Da come si interpretano le leggi di emergenza, e questa scena, si aprono per lo spettatore due vie opposte di ricezione.
“Se per sbaragliare quelle pericolose bande di Los Angeles (costrette alla criminalità dalla desertificazione sociale e economica pianificata dalle big company per distruggere i quartieri african-american e approfittarne urbanisticamente ndr) si incriminarono tutti i membri di quelle gang per i delitti commessi solo da uno o alcuni di loro - sostiene Midred - perché non applicare lo stesso bizantinismo oggi contro i sacerdoti cattolici (una conventicola che ugualmente lotta contro la desertificazione spirituale con ogni mezzo necessario, no?) visto che un bel po’ di preti si sono resi responsabili di crimini giudicati altrettanto abominevoli e per di più sono stati protetti dalle alte gerarchie per decenni?”. Isomma prete, fuori da casa mia. 

Se si stracciano platealmente i principi etici dello stato di diritto (quel che fa l’Italia quando chiede l’estradizione di Battisti, imbarazzando i giuristi brasiliani) ogni mezzo necessario, pacifico e non pacifico, deve essere usato dal cittadino consapevole per ristabilire un patto di convivenza civile. Se no – fa capire indirettamente Mildred - si assiste inermi alla fine della direzione democratica e al sopruso del dominio di governi illegittimi che, proprio come succedeva nell’Ottocento, erano guidati da giganteschi magnati tesi solo a eliminare la concorrenza piccola, media e grande e a gonfiare i propri profitti. Contro questi governi e chi li rappresenta qui nella mia cittadina – dice Mildred - non si può che essere duri e spietati. Quando il gioco si fa duro….
Da una parte allora si glorificherà Mildred come simbolo dell’individualismo celibe e della cattiveria liberista, tanto alla moda oggi tra i fanatici del polically uncorrect. Quella di qualunque libertarian, né di destra né di sinistra, convinto che uccidere con le proprie mani chi attenta ai grandi principi, proprietà privata compresa, non sia vendetta ma giustizia. E si scambierà Mildred per Olive Kitteridge, la protagonista anti politica della serie omonima diretta da Lisa Cholodenko nel 2014.
Dall’altra si ammirerà in Mildred una sorta di giustiziera Marge o di Mildred Pierce mai doma, e assolutamente scandalizzata (e non gongolante come Bannon) dal fatto che lo stato si è estinto, lasciando ai più rapaci il campo libero e senza legacci e impedimenti. Il simbolo stesso, quasi rooseveltiano, della liberazione indisciplinata dalle gabbie ottuse della bigotteria della comunità wasp e della riconquista di un campo etico comune incurante dei valori dela tradizione (imperituri e errati), proprietà privata e dominio sui figli compresa. Insomma secondo questa interpretazione Mildred (che non è poi sola nella lotta perché la comunità african american e i “diversi” sono con lei) è il ritorno della politica dal basso contro l’antipolitica.
Io sono per questa seconda lettura (*).

Anche perché il regista del film Martin McDonagh, al terzo film dopo In Bruges e 7 psicopatici, ha 48 anni e dalla sua filmografia e da una serie di dettagli e sottintesi di questa opera (il più importante sottinteso riguarda una certa copertura imposta dai piani alti al presunto colpevole del crimine efferato) si comprende che ha ben metabolizzato il recente passato storico, dal Vietnam all’Iraq. E fa capire che più pericolosi dei Crips e del Vaticano è la gang dei generali che cercarono di coprire Abu Ghraib. Oggi troppo promossi. Finora i suoi lavori erano tutti incentrati su personaggi maschili (Colin Farrell e Brendan Gleason) ma questa volta con la mascolinità ha esagerato.  Mildred ricorda infatti, più che gli ecoterroristi del film di Kelly Reichardt Night Moves (2013), più del pastore protestante impazzito di verità in First Reformed, un altro super mito macho, Gary Cooper che con la dinamite fa saltare i palazzi da lui progettati e orrendamente costruiti in La fonte meravigliosa di King Vidor. 


Grande successo mondiale (4 Golden Globe, 8 candidature ai Bafta e tra i favoriti all’Oscar) e ben tre applausi a scena aperta (quando l’esibizione di umorismo nero diventa esibizionismo punk) in occasione della prima mondiale al festival di Venezia 2017, Tre manifesti a Ebbing, Missouri che ha vinto il Leone d’oro per la migliore sceneggiatura, è una tragedia (o una commedia nera e obliqua)  dedicata platealmente a Shakespeare e a Oscar Wilde, e ai bruciati vivi innocenti di tutte le guerre d’aggressione. Ma è ambientata oggi nel cuore d’America, anzi nello stato più sudista di tutti, il Missouri. “Stato carogna”, secondo il Naacp, che sconsiglia agli african-american di recarvisi, come se fosse l'Iraq, se non “a proprio rischio e pericolo”. 
Peter Dinklage e la "bombarola"
Three Billboard Outside Ebbing, Missouri, scritto e diretto a tratti con scioltezza comica imprevista, da un drammaturgo pluripremiato (e che ci sembra un Sam Mendes di sinistra), è innanzi tutto una sfilata di attori supersonici, tutti in odor di premi a ripetizione: la rediviva Calamity Jane è Frances McDormand, era la poliziotta incinta Marge di Fargo, fantastica quando riesce a liquefare un perenne ghigno stampato in faccia, da antisociale drastica, che scandisce il suo secco “preferirei di no”. Come si fa a non essere manieristi recitando con lo stesso timbro per tutto il film resta un mistero. Certo Frances che viene dal teatro newyorkese underground non frequenta la macchina hollywoodiana e i suoi tic recitativi e esistenziali. Il film è proprio stato cucito e imbastito sul suo corpo. Poi uno strepitoso Sam Rockwell che è Dixon, l’agente della polizia locale diversamente geniale, di fuori ottuso e di dentro “diverso”; il “rosso” è Caleb Landry Jones, e affitta a Mildred gli spazi pubblicitari per i suoi tre manifesti “di fuoco”, mettendo a repentaglio la sua vita, perché il mercato sa essere meno statico dei pregiudizi della comunità; l’ispettore di polizia “che sussurra ai cavalli” è un Harry Harrelson mai così poetico e inverosimile capace di occuparsi della comunità con la stessa dolcezza e sapienza con la quale tiene a bada le sue due bambine scatenate; la mammina nazi di Dixon è una Sandy Martin di ghiaccio e il nano inguaribilmente “innamorato infelice” è Peter Dinklage. Nani, gay, neri, Mildred. Sono loro, gli emarginati, che spostano il sistema nervoso del paesello sperduto nel nulla, addormentato in un rude paesaggio ex western. Mentre una banda di poliziotti si vanta di torturare “la gente di colore”:  “mai dire nigger, perché negri è espressione razzista”. 

(*) Ovviamente non siamo più ai tempi di Robert Aldrich che pretendeva per i sui film solo critiche politiche. E il regista irlandese intervistato da Sight and Sound (gennaio 2018) a proposito delle implicazioni politiche del film, così come è di moda si schernisce: "no, non  potevo fare otto anni fa alcuna allusione ai tragici fatti capitati in Missouri negli ultimi due anni". E aggiunge che non condivide troppo la speranza che c'è nel film, "quella luce alla fine del tunnel". E' molto più pessimista: "C'è molta rabbia e disperazione in questo paese, oggi". Per quqnto riguarda il titolo ricordiamo che l'esercito clandestino dell'Ira si divise verso la fine degli anni 60 in Official (socialisti) e Provisional (più cattolici che socialisti).

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